Un anno sotto il segno del rock

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Il 2015 Bruce lo ha iniziato alla sua maniera: salendo sul parco del Paramount Theater di Asbury Park per unirsi a Willie Nile e ad un altro manipolo di amici del Jersey Shore, per la 15esima edizione del Light of Day, concerto di beneficenza della omonima fondazione, organizzato da Willie Nile per raccogliere fondi a favore della ricerca sul morbo di Parkinson e sulla SLA. Springsteen – che ad oggi non ha ancora deciso se e quando ripartire in tour, se incidere un nuovo disco, o dedicarsi alla produzione di altri artisti – di fronte al fascino del palco, ma soprattutto alla prospettiva di dare il suo contributo a una causa benefica, non si è certo tirato indietro regalando al pubblico del Paramount un mini-show di 20 pezzi assolutamente memorabile. Bruce ha raccolto subito l’invito di Willie Nile (non è la prima volta del resto che il Boss partecipa al Light of Day) e ha aperto lanciandosi con lui in “One Guitar”, pezzo scritto da Nile nel 2010 per l’album “The Innocent Ones”, per poi unirsi prima alla LaBamba’s Big Band su “This Little Girl”, poi a Southside Johnny per una versione trascinante di “Higher and Higher”, quindi a Joe Gruchecky e ai suoi Houserockers per “Adam Raised a Cain”. In mezzo Bruce ci ha messo “I Don’t Want to Go Home”, una versione acustica chitarra e voce di “Janey don’t you lose heart”, “Savin’ Up”, 
”From Small Things (Big Things One Day Come)”, 
”Never Be Enough Time”, “Racing in the Street ’78”, “Pumping Iron”, “Darkness on the Edge of Town”, “Still Look Good (For Sixty)”, “Frankie Fell in Love”, “Hearts of Stone”, “Save My Love”, “Talking to the King”, “Because the Night”, “Light of Day” (che non poteva certo mancare in questa occasione), “Thunder Road”, in versione anche questa acustica ma cantata in coro da tutto il pubblico. Il gran finale è stato lasciato a “The Promised Land” e anche in questo caso tutti in piedi a cantare a squarciagola.

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A contribuire ancor di più alla riuscita della serata, il carattere assolutamente informale e amichevole che si respirava sul palco e in sala: più che un concerto, sembrava una riunione tra vecchi amici, gente che ha dato vita a una delle più belle “scene” del rock americano, quella appunto del litorale del New Jersey. Da Springsteen a Willie Nile (che pure arriva da Buffalo, NY), c’era tutto il gruppo dei rocker di Asbury Park: Southside Johnny, Gary U.S. Bond, Joe Gruchecky, Vini Lopez, John Eddie, Garland Jeffreys, Paul Whistler, Richie “La Bamba” Rosenberg, Bobbie Bandiera, Eddie Manion, Mark Pender, Danny Clinch, che pure se non fa il musicista, ma il fotografo, ha contribuito non poco a rendere leggendario il Jersey Shore.

La serata ha assunto immediatamente il carattere dell’evento perché Springsteen ha fatto subito capire a tutti il suo stato di grazia: battute, gag, incursioni in pezzi non suoi (“The Letter” con Southside Johnny alla voce e Bruce alla chitarra), continui riferimenti a James Brown e racconti del – e dal – suo passato: “Ho scritto questa canzone quasi 35 anni fa– ha detto Bruce introducendo il duetto con Southside Johnny su ‘This Little Girl’ – ma non so se me la ricordo”. Il brano, composto appositamente da Bruce per Southside Johnny, è stato uno dei maggiori successi di Southside, ma Springsteen non lo aveva mai eseguito da solo in precedenza.

Tra le chicche della serata da sottolineare sicuramente la versione acustica di “Janey don’t you lose heart”, cantata in piena oscurita con il solo occhio di bue a illuminarlo, una “Because the Night” assolutamente da brividi, acida intensa e malinconica come non mai, e “Save my love”,  brano che lo stesso Bruce ha raccontato così: “L’avevo scritta per ‘Darkness’ ma in realtà sarebbe stata benissimo su ‘Born to run’”. Springsteen si è soffermato su quel periodo raccontando altri aneddoti, uno in particolare: “Era il 1975 e io ero in viaggio verso una piccola università nel Rhode Island; ero in piedi all’angolo di una strada e una macchina si è accostata, hanno tirato giù il finestrino e dalla radio arrivava ‘Spirit in the night’: è stata una sensazione che non avrei mai più dimenticato, sembrava l’affermazione di tutto ciò per cui avevo lavorato fino a quel momento. È stato un momento importantissimo per me”.

Insomma, quella che sembrava essere solo una rimpatriata tra amici musicisti di buon cuore, è diventata una serata indimenticabile fatta di ricordi, rarità, esbizioni mai provate e sentite prima. Per molti la realizzazione di un sogno.

Con Bruce – come sempre – a fare la parte del capo!

Patrizia De Rossi è nata a Roma dove vive e lavora come giornalista, autrice e conduttrice di programmi radiofonici. Laureata in Letteratura Nord-Americana con la tesi La Poesia di Bruce Springsteen, nel 2014 ha pubblicato Bruce Springsteen e le donne. She’s the one (Imprimatur Editore), un libro sulle figure femminili nelle canzoni del Boss. Ha lavorato a Rai Stereo Notte, Radio M100, Radio Città Futura, Enel Radio. Tra i libri pubblicati “Ben Harper, Arriverà una luce” (Nuovi Equilibri, 2005, scritto in collaborazione con Ermanno Labianca), ”Gianna Nannini, Fiore di Ninfea” (Arcana), ”Autostop Generation" (Ultra Edizioni) e ben tre su Luciano Ligabue: “Certe notti sogno Elvis” (Giorgio Lucas Editore, 1995), “Quante cose che non sai di me – Le 7 anime di Ligabue” (Arcana, 2011) e il nuovissimo “ReStart” (Diarkos) uscito l’11 maggio 2020 in occasione del trentennale dell’uscita del primo omonimo album di Ligabue e di una carriera assolutamente straordinaria. Dal 2006 è direttore responsabile di Hitmania Magazine, periodico di musica spettacolo e culture giovanili.

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