Quello strano musical dei fratelli fantasmi

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Il primo a citare l’altro fu Stephen King che, per descrivere uno dei primi vilains di It,

 un giovane disadattato omofobo che vede per primo Pennywise il pagliaccio mentre si nutre di un poveretto (appena scagliato dal giovane di cui nel fiume da uno dei ponticelli di Derry), scrisse dei suoi capelli come “alla John Cougar Mellencamp”: castani, ondulati e lunghi fin oltre le spalle. John Mellencamp restituisce il favore nella canzone Jerry, album Mr. Happy Go Lucky, del 1998, dove il protagonista della canzone è un malato di mente che urla all’uomo nella luna; guarda il caso, in It c’è un altro vilain (Henry Bowers, nemico d’infanzia dei protagonisti buoni) che, rinchiuso in un manicomio, parla con It che gli si mostra racchiuso nel globo lunare, come una sorta di Renfield post-atomico.
Una forma di reciproca ammirazione che sfocia, previe premesse su Billboard a partire fin dall’anno 2000, nel 2012 con l’esordio all’Alliance Theatre di Atlanta, Georgia, del musical Ghost Brothers of Darkland County, con musiche e testi scritti da John Mellencamp e storia scritta da Stephen King. Per dirla come lo stesso John Mellencamp dichiarò ai tempi: “Posso dire quello che la storia non è, ossia una cosa del tipo Jack & Diane incontrano Cujo. King ha già scritto la storia, è più sul genere del Miglio Verde. E’ una storia americana di una famiglia americana. Alcuni membri della famiglia hanno cent’anni e altri quindici. Tratta di due fratelli, entrambi molto giovani, tra i 18 e i 21 anni, molto competitivi tra loro e che si disprezzano altrettanto. Il padre li porta al luogo di vacanza della famiglia, uno chalet dove i due ragazzi non erano più stati da quando erano bambini. Quel che è successo, è che il padre aveva due fratelli più grandi che si odiavano e si erano uccisi l’un con l’altro in quello chalet. E c’è anche una confederazione di fantasmi, in quel posto; i fratelli più grandi, quelli morti, sono lì, e cantano e parlano al pubblico”.

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Ovviamente, ci sono dei bei nomi e niente è stato lasciato al caso, a partire dalla produzione scarna ed essenziale di T-Bone Burnett per continuare con le partecipazioni di Kris Kristofferson, Neko Case, Elvis Costello, Taj Mahal, Phil e Dave Alvin, Sheryl Crow e Rosanne Cash. E per dirla come quel critico dell’Esquire Magazine che assistette a una prova newyorchese nel 2007, “per essere opera di neofiti, non solo è tollerabile, è fin buono!”. Con le sue pecche, poche e soprattutto per quel che riguarda la parte scritta, parlando di dialoghi invasivi che tolgono importanza alle canzoni (17, equamente suddivise) ma non quella musicale. Ma resiste ancora, e, credetemi: critica e pubblico yankee, almeno per quel che riguarda i musical, sono peggio che feroci, con i Famosi & Supponenti che azzardano escursioni in terreni a loro non consoni. Qualcosa vorrà pur dire.

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