Joe Strummer chi?

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Sono uno dei pochi italiani (credo) ad avere visto i Clash quando erano davvero i Clash. Londra, luglio 1978 al Music Machine (non era ancora Camden Palace), prima di una serie di quattro date da tutto straesaurito, e soprattutto prima esibizione dopo una lunga censura live (la foto in b/n è stata scattata nella seconda serata). Era il periodo di ‘White Man In Hammersmith Palais’, non era ancora uscito ‘Give ‘Em Enough Rope’ e sul palco c’era ancora il famoso fondale con le immagini degli scontri con la polizia (ne sto scrivendo a parte per un altro progetto). Trionfo ovvio, con la folla che pendeva dalle labbra di Joe Strummer: se ci aggiungete che i support act della serata erano i clamorosi Suicide del duo Vega/Rev -a tutt’oggi l’esibizione più impressionante che abbia mai visto- e i primi Specials (ancora agghindati da punk, con Terry Hall coi capelli blu) potete comodamente immaginare cos’ho visto.

Fast forward. Sono passati una decina d’anni, e sono seduto a un tavolo del Rock Star Cafe, famoso locale meneghino di fine anni ’80. È quasi mezzanotte, e il locale è pieno di poseurs a metà strada tra post new wave e Milano-da-trangugiare. Si apre la porta ed entra Joe Strummer. È accompagnato da un tizio di colore alto e magro, e non ti puoi proprio sbagliare: è proprio Joe Strummer, ha la faccia di Joe Strummer e soprattutto è vestito da Joe Strummer, periodo Clash: giubbotto di pelle tipo Perfecto (non lo chiamerò mai chiodo), pantaloni neri militareggianti, creepers nere ai piedi, capelli cortissimi tinti di fresco (neri), smorfia alla Sid Vicious. Stasera c’è stata la data milanese del suo tour da solista. “Ca**o, guarda Joe Strummer”, mi dice Stefano. Io lo guardo. Poveretto, mi dico, adesso lo blindano fino alle sei di mattina: la settimana scorsa eravamo qui con i Krisma, e per Maurizio e Cristina c’è stata la fila per foto ricordo e autografi. Strummer si dirige al banco, nessuno l’ha ancora notato. Ecco, penso, tra tre secondi gli scoppia attorno la bagarre.

Invece niente.

Lui arriva al banco, si volta verso la folla di avventori. Nessuno lo riconosce. “Stron*i di snob-alla-milanese”, dice Stefano, “fanno finta di non sapere chi è. Vedrai, tra un minuto non resistono”.

Invece niente.

Joe parlotta col barman, che gli serve un caffè. Lui porta la tazzina alle labbra, si ri-volta verso gli avventori nel suo look-da-Clash.

Niente di niente.

Posa la tazzina sul banco. Il suo accompagnatore non ha bevuto nulla. Si dirigono insieme verso l’uscita, il Rock Star Cafe è imballato e Joe Strummer si fa largo come può, del tipo “scusa…permesso…posso…?”. Nessuno lo riconosce, e nessuno fa apposta. Un paio di tizie stile new wave davanti alla porta lo fanno passare e lo guardano seccate: stanno parlando con un PR del locale (la vera star della serata) e hanno tante cose importantissime da sbrigare, loro.

Io e Stefano restiamo al tavolo con le ossa gelate.

Qualcuno tra i presenti un giorno ci parlerà della new wave e si commuoverà sul dvd del documentario di Jim Jarmusch su Joe Strummer. Non c’è bisogno di prenderci a schiaffi: anche qui, potete comodamente immaginare cos’ho visto.

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