Potevamo essere gli U2

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Siamo qui per Aldo Serena e Nicola Berti. Oddio, non solo per loro, visto che siamo al Notorius in pieno centro a Milano per suonare come ogni settimana a Vox Populi, hellzapopping del lunedì sera.

È la primavera 1989, e come ogni volta qui c’è di tutto, da Gene Gnocchi a Freak Antoni: cantanti, comici, fantasisti, imitatori, ballerine del ventre e anche noi, che siamo gli Ufo Piemontesi e che da qualche mese suoniamo il rock & roll delle origini un po’ da blouson noir parigini, quelli che lassù chiamano loulous. I Batman & Robin dell’Inter vengono qui spesso e pare siano appassionati di Elvis: “Se passano stasera fanno un pezzo con voi”, ci dice uno che la sa lunga. Ci proviamo? Aspettiamo e aspettiamo, ma il dinamico duo non si materializza.

Verso mezzanotte Roberto, organizzatore dell’happening, ci fa: “Va be’, non sono venuti. Seguitemi, vi faccio incontrare altri due: non saranno Serena e Berti, ma magari per un paio di pezzi vanno bene lo stesso”. Io e Stefano lo inseguiamo in fondo al locale facendoci largo a gomitate, e a un tavolo ci sono due sosia di Bono e Adam Clayton.

Un momento. Questi sono Bono e Adam Clayton.

Ci guardiamo basiti. Li osservo bene da un paio di metri: Bono ha addosso un gilet indossato a torso nudo, con occhialini tondi da sole alla John Lennon e sulla testa un foulard indianeggiante a mo’ di bandana. Adam Clayton sembra un cartonato di Adam Clayton in occhiali e giubbotto di pelle. Roberto li conosce, vista l’accoglienza piuttosto amichevole che gli riservano questi due, che non giocheranno nell’Inter ma che per un pezzo o due andrebbero bene sì. Roby ci fa segno di avvicinarci, e Stefano mi precede andando a stringere la mano a Bono, che sorride amabilmente. Le guardie del corpo lasciano fare. Bono: “Roberto mi ha detto che fate rock’n’roll, quello vero”. Stefano rilancia, il tono è da cena aziendale: “Sì, volete unirvi a noi?”. Bono: “Un pezzo di Elvis?”. Mi intrometto: “Sì, ma del periodo Sun Records”. Bono guarda il cartonato di Adam Clayton, e poi: “Naaahh, forse un’altra volta. Comunque vi ascoltiamo”. Silenzio imbarazzato. Una guardia del corpo ci fissa. Bono ci sorride, il cartonato no.

Dopo un quarto d’ora attacchiamo ‘Blue Moon Of Kentucky’ dedicandola “ai nostri due amici seduti là in fondo”. Roberto arriva a fine set: “Sono andati via dopo tre o quattro pezzi, c’era troppa calca attorno e sono scappati, non li ho nemmeno visti”. “Meglio così, sicuramente li abbiamo fatti vomitare”, gli dico.

Quando tre anni dopo siamo incredibilmente diventati una band abbastanza conosciuta, una casa di produzione cinematografica ci propone di comparire in un film. Dobbiamo mimare un playback dal nostro album in un’ ipotetica data del nostro tour, che nella realtà partirà di lì a poco. Non ci accordiamo per la nostra partecipazione. Il film va in produzione ed esce dopo qualche mese. Si intitola “Volevamo essere gli U2”.

Stefano, lo so che stai ridendo ancora adesso.

 

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