USA: la difficile convivenza tra bio e junk food

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Farmer's Market - Manhattan

La prima volta che sono stata negli Stati Uniti, più di 20 anni fa, l’impatto con la cucina corrispondeva perfettamente allo stereotipo che abbiamo di quel Paese e che ancora oggi viene riproposto anche a livello cinematografico: famiglie raccolte intorno a giganteschi hamburger, con montagne di patatine, ketchup e l’innominabile bibita gassata dal color caramello.

Non dico che oggi il cibo preferito dagli statunitensi non sia ancora quello (alternato al classico bisteccone)  ma da qualche anno a questa parte, prima timidamente ed ora con molto più coraggio, si sta facendo avanti un nuovo fronte nell’alimentazione: quello del cibo sano, preferibilmente biologico (o, come dicono loro… organic).

Lo si vede soprattutto nella miriade di Farmer’s Market che si trovano, sempre più numerosi, nei piccoli paesi di provincia, così come nelle grandi città: anche gli americani, insomma, hanno scoperto il kilometro zero. Inoltre è aumentata in modo esponenziale la predisposizione al consumo di formaggi, alcuni dei quali prodotti in loco, soprattutto da piccoli produttori artigianali, anche se non mancano le importazioni e, purtroppo, le imitazioni.

Farmer's Market - Manhattan
Farmer’s Market – Manhattan

Questi prodotti, per il momento, sono riservati ad una fascia di consumatori medio-alta, dal punto di vista della capacità di spesa. Mi è capitato, ad esempio, di acquistare un mazzo di ravanelli a 5 dollari e se pensate che un hot dog con bibita ne costa circa 3, ma riempie la pancia più di un mazzo di ravanelli, si capisce perché ci sia ancora molta strada da fare prima che un’alimentazione sana, alternativa alla bomba proteica a cui sono abituati, si faccia strada nella mentalità comune.

Durante i miei viaggi negli Stati Uniti mi è capitato spesso di acquistare prodotti ai mercati e consumarli la sera in albergo, per riposarmi da una giornata passata a camminare e per scegliere un cibo semplice e non “da ristorante”; e spesso ho fatto la spesa nei Farmers’ Market, acquistando verdura, formaggi e pane. Certo, si risparmia rispetto a un ristorante tradizionale, ma niente batte le catene di junk food, i cui prezzi sono davvero stracciati e, nell’economia di un viaggio, la tentazione di un pacco “take away” pieno di schifezze a poco prezzo è sempre lì, dietro l’angolo. E se lo è per un italiano, abituato a mangiar bene… figuriamoci per un americano…

Ci auguriamo quindi che le campagne salutiste di Michelle Obama, unite ad una nuova consapevolezza per il proprio peso e la propria salute, convinca anche gli statunitensi dell’importanza di una dieta più varia, per la quale dovranno magari mettersi ai fornelli, rinunciando a mangiare direttamente dalla scatola di cartone o polistirolo, che poi dovranno buttare nello stesso ambiente nel quale vivono.

E magari che imparino non solo a portarsi a casa il “doggy bag” con l’avanzo di bistecca, ma a riciclare quello che viene cucinato in casa, soprattutto le parti di verdura che normalmente consideriamo di scarto e che, se trattate con fantasia, possono trasformarsi in un vero e proprio pasto a costo zero… tanto le avremmo buttate…

L’IDEA DA PORTARE A CASA: SCARTI DI VERDURA AL CURRY

Per preparare questo piatto si possono utilizzare scarti di verdure bio: i gambi dei cavolfiori, buccia di zucca, quella carota solitaria che giace nel frigorifero, un po’ di gambi e foglie sedano (che sempre avanza…), le parti esterne dei finocchi, i gambi di carciofo (sono la parte più dolce). Insomma, tutte le verdure che avanzano o tutte le parti di verdura che normalmente buttate via.

Far rosolare le verdure, tagliate a tocchetti, con un po’ d’olio extravergine d’oliva, salare, aggiungere poca acqua e far stufare lentamente. A metà cottura aggiungere un cucchiaio di curry in polvere (o pasta di curry) e mezzo bicchiere di latte di cocco. Accompagnate da crostoni di pane tostato sono un’ottimo pasto sano ed economico.

Padellata di scarti di verdura al curry
Padellata di scarti di verdura al curry

 

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