Vi è solamente un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio. Giudicare se la vita valga la pena di essere vissuta, è rispondere al quesito fondamentale della filosofia.

Albert Camus, Il mito di Sisifo

Un aereo di linea si schianta sulle Alpi.
Escono i dettagli agghiaccianti delle cause del disastro.
Nessuno che osi riconoscere che questa è la più grande sciagura tra quelle occorse durante un trasporto di persone.
Perché a generarla è un colmo di idiozia.

Ma per cogliere la portata dell’assurdo che ha tolto la vita a tante persone sull’aereo della morte organizzata che si è schiantato sulle montagne, è possibile tornare a un mito epico, e rovesciarlo.

Il mito del cavallo di Troia ci dice di una fortezza inespugnabile, talmente chiusa verso l’esterno da non poter essere in alcun modo penetrata.
E’ il nostro caso.
Esaminiamolo.

La chiusura ermetica di un luogo tramite un dispositivo, nata per evitare qualunque intrusione e scongiurare le aggressioni, è una strategia molto antica, maturata con molta scienza affinché ci si potesse dotare di garanzie di sicurezza.

Ma la paura di essere vittime di atti sconsiderati, ha portato in tempi recenti a una visione talmente sigillata della sicurezza, e talmente miope, da rendere tale sicurezza la condizione ideale per il crimine perfetto.

Così, qualunque sia stata la motivazione che ha portato alla più insensata e assurda delle tragedie, io credo e temo che le cause non vadano cercate, come pietisticamente si dice in tutte le sedi, nella depressione o nelle varie sue declinazioni.

Credo piuttosto che i responsabili siano coloro che hanno pensato e applicato tale procedura.

Il terrore cieco che abita troppe coscienze ai nostri giorni, è tale per cui si dota un aereo deputato al trasporto di centinaia di esseri umani, di un dispositivo che se posto nelle mani di un solo uomo sbagliato possa permettergli di decidere qualunque cosa, a discapito delle centinaia di vite che condividano con lui il viaggio.

Ciò doveva ritenersi sufficiente per non applicare tale procedura, o renderla aggirabile in casi estremi.

Ma non lo si è considerato, ed è questo è il punto.
Questo l’assurdo che abita le nostre coscienze e ci condanna, ci retrocede e ci squalifica.

E’ ciò che mette in ginocchio il senso stesso della nostra contemporaneità, così tronfiamente rappresentata dal tecnologico.

Così io non mi preoccuperei tanto – o non necessariamente e ipocritamente solo ora, solo in simili circostanze – della crescente diffusione di patologie comportamentali e del vorticoso aumento del numero di persone che ricorrono a psicofarmaci per reggere l’impatto con la vita.
Questo è un ragionamento che va fatto in altra sede.

Valuterei piuttosto il fatto tragicamente risibile che si sia preteso plausibile far viaggiare la gente in simili condizioni.

Poiché tra tutte le condizioni di eventuale dirottamento, questa le supera tutte in fatto di garanzia di esito letale.

Infatti, se le più diverse forme di attacco da parte di sconsiderati a bordo di un mezzo pubblico conserva un certo margine di probabilità che si riesca a limitare le conseguenze più estreme, a nulla invece possono non già un solo disperato buon comandante, bensì squadre intere di energumeni, se si tratta di forzare in pochi istanti una porta blindata.

Ma torniamo al mito.

Il cavallo di Troia ci racconta la storia di un astuto attentato alla città inespugnabile, perpetrato grazie alla strategia di introdurre nella fortezza una strana e attraente struttura riproducente una bestia superba.
Dal quale ventre nottetempo escono i soldati che aprono il passaggio dall’interno ai propri compagni armati, ottenendo il saccheggio completo della città invincibile.

Ora accostiamolo ai fatti avvenuti.

La strategia che permette l’introduzione in una struttura protetta di un oggetto meraviglioso ma fatale, è la stessa, seppure rovesciata, che ha animato fino a ieri l’intero settore dell’aeronautica europea, convinta che impedendo ogni accesso alla cabina di pilotaggio tramite l’adozione di un congegno si potesse debellare il rischio di attentati a chi conduce l’apparecchio.

La città di Troia si illude di essere impenetrabile ma viene espugnata dall’interno.
L’aereo con la cabina blindata illude di essere sicuro, ma viene proprio da ciò condannato.

In entrambi i casi si dimentica che dove vi è un esterno, vi è un interno, altrettanto periglioso, se non di più.

Come nel caso del cavallo di Troia, l’interno divenuto fatale è doppio: laddove nel racconto avevamo l’interno della città inespugnabile da una parte e dall’altra l’interno del cavallo con sorpresa, qui abbiamo l’interno tecnico inattaccabile da fuori, ovvero la cabina di pilotaggio e l’interno umano con sorpresa, cioè il pilota.

L’interno umano.
L’interno più sinistro, poiché spesso non raggiunto dalle più sofisticate sonde.

L’evidenza che lo stesso risultato si sarebbe avuto se il pilota rimasto solo in cabina avesse avuto un malore invece che un progetto di lucida autodistruzione, non fa che aumentare la gravità delle circostanze.
La stupidità del brevetto-procedura e il risultato cui poteva portare non cambiano.

E ora eccoci di fronte alla caduta di ogni senso. Nella mesta raccolta dei resti di tante persone morte nel modo più assurdo, siamo posti dolorosamente di fronte all’assurdo che ci abita.

Un doppio interno fatale canta l’inno della nostra incapacità di giudizio:
un aereo minato da un dispositivo interno, condotto da un uomo minato da dentro.

Se tecnologia è ciò che ci facilita la vita, e se questo non è il culmine dell’opposto alla tecnologia, cos’altro è.
Follia?

Se lo è, non è quella del giovane infelice pilota tedesco, bensì quella di tutti noi, quella dei sistemi di sicurezza, degli apparati, delle compagnie modello e di tutto quanto il circo umano che porta con sé una miope visione delle cose.

Di noi avanzati. Sicuri.

Quasi invincibili, placidi manipolatori delle leggi della natura, come si è visto siamo invece tutti troiani, beffati dal di dentro.

Pur troppo.

i resti dell'Airbus della Germanwings
i resti dell’Airbus della Germanwings
gianCarlo onoratoMusicista, scrittore e pittore fuori dagli schemi, ex leader di Underground Life. Ha pubblicato i dischi: Il velluto interiore (1996), io sono l’angelo (1998), falene (2004), sangue bianco (2010, Premio Giacosa), ExLive (2014) con Cristiano Godano, quantum (2017), “quantum Edizione Extra” (2018), ha curato la co-direzione artistica del Tributo a Luigi Tenco come fiori in mare Vol. I (2001) e Vol. II, in “Sulle labbra di un altro” (2011), ed i libri: Filosofia dell’Aria (1988), L’Officina dei Gemiti (1992), L'ubbidiente giovinezza (1999), Il più dolce delitto (2007), “ex-semi di musica vivifica” (2013), La formazione dello scrittore” (2015). Ideatore del Seminario del Verbo Musicato, ha centinaia di concerti alle spalle e un disco, un tour e un nuovo romanzo nel prossimo futuro. giancarloonorato.it

1 COMMENTO

  1. ciao gianCarlo, che dire se non che la Tua analisi è molto veritiera e lucida nel ritrarre il limite della nostra umanità ingabbiata in una tecnologia che in apparenza ci offre una vita sempre più risolta, mentre perde per strada la capacità di risolvere se stessa ed i suoi enigmi, o almeno di provarci. Ma tra i Troiani vi fu chi invitò a diffidare di questo dono di pace: un sacerdote, che credette alla profezia di Cassadra, sacerdotessa e figlia del re di Troia. Atena, protettrice dei Greci, fece uccidere i figli di quel sacerdote e lui. A quel punto, i Troiani pensarono ad una punizione degli Dei per la diffidenza di Laocoonte e si sentirono ancora più portati ad accogliere il cavallo, per non dispiacere gli Dei. A Cassandra, poi, vittima della punizione divina di Apollo di non essere mai creduta, non diede più retta nessuno. Minati da dentro, come scrivi Tu, ed incapaci di interpretare la realtà, nonostante i dubbi di due di loro, come poi i fatti dimostrarono. La rovina dei Troiani fu anche scoprire che i Greci non ebbero alcun rispetto dei templi ove il re e la famiglia si erano rifugiati. Si compì il destino, anche dissacrando e ciò venne permesso dagli Dei che proteggevano i Greci, i quali poi punirono rendendo lungo il viaggio del ritorno dei loro protetti e facendone poi morire qualcuno che aveva “esagerato.” La nostra interiorità vive in un tempo molto lento, che ancora risuona per la forza di questi miti, mentre fuori di noi tutto accelera e diventa “a portata di mano”, apparentemente risolvibile e le nostre paure vengono proiettate verso l’esterno. Eppure la paura di ciò che viene da fuori non fa che smascherare la paura di ciò che ci viene da dentro. Quando da fuori arriva quel cavallo, ecco che tutto di noi viene smascherato: la debolezza meno evidente e meno in vista si confronta con la perdita, compresa quella della sacralità della vita. Chissà se riusciremo ad invertire la rotta interiore per ritrovare il contatto con la nostra sacralità, senza farci abbacinare dai grandiosi segnali incantatori altrui, sperando di non fare la fine di Laocoonte e dei suoi figli!

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