Second Chance
di Susanne Bier
con Nikolaj Coster-Waldau, Ulrich Thomsen, Nikolaj Lie Kaas
Voto 7
Seconda Chance sembra un film fatto per non piacere. Intendiamoci: non è un brutto film, ma un film su cose brutte allo stato quasi puro. È strutturato come una fiaba crudele di quelle a base di boschi e bambini abbandonati (o mangiati) che prima dell’alleggerimento di Perrault o dei Grimm erano fatte per incutere terrore nei cuori. Ci sono due coppie danesi: da una parte due tossici (lui spacciatore, lei prostituta che ha appena partorito) che vivono in una appartamento porcile e lasciano un neonato a piangere nella sua cacca. Dall’altra un poliziotto e sua moglie (che ha appena partorito), che vivono in una villetta da sogno e il cui neonato piange sempre e troppo. Il poliziotto ha visto in che condizioni lo spacciatore tiene il piccolo. Ma una notte muore inspiegabilmente il neonato del poliziotto. E la moglie da chiari segni di rifiuto della realtà. Lui, come nelle fiabe e nei feuilletton, scambia i neonati: si prende il vivo, lascia il morto ai drogati. Giustificazione interna: gli darà una vita migliore. Ma niente va come spera: anzi, si apre un abisso di dolore in più. Mentre i disastrati potranno essere anche accusati di omicidio, la moglie del poliziotto… Fermiamoci qui. La concentrazione di materia spiacevole di Second Chance è difficilmente maneggiabile, e il film è stato accusato di tutto, anche di essere quello che non è (un ritorno al “Dogma” di Von Trier? Ma no…). Vero è che la Bier che dopo la “finta-commedia-napoletana” Love is All You Need è riuscita a trascinare nel gorgo selvaggio-kitsch di Una folle passione ben due campioni di incassi del cinema americano più disinfettato, come Jennifer Lawrence e Bradley Cooper, sembra lavorare per sconcertare ed è tornata a collaborare col suo urticante sceneggiatore di fiducia, Anders Thomas Jensen.
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