Già lo capì lo scaltro Mussolini quando fece incidere sul travertino del palazzo della Civiltà Italiana all’EUR la frase: “Un popolo di poeti di artisti di eroi…” e via di seguito.
Gli italiani – gli esseri umani – sono fatti così, tutti artisti, tutti poeti col cappello sghembo e il mantello.
Nella mia vita non ho conosciuto un singolo barbiere che, al contempo, non fosse anche un artista. Naturalmente incompreso.
Ogni più piccolo paese – come in un film di Totò – ha il suo poeta, compositore o pittore, tutti accomunati da un talento che, prima o poi, il mondo dovrà per forza notare. E tutti indistintamente compresi nell’incarnare ciò che il conformismo suggerisce siano i comportamenti di un genio ribelle o romantico.
Un po’ come diceva Leo Longanesi in La sua signora: “L’arte è un appello al quale troppi rispondono senza essere stati chiamati”.
Già, ma cos’è davvero l’arte? Secondo l’enciclopedia Treccani: “Se l’arte in generale si riferisce a un certo sapere unito a una certa abilità, l’arte in senso estetico non sembra definibile propriamente né come sapere, né come abilità, che sono condizioni necessarie ma non sufficienti della sua possibilità e del suo modo di funzionare.” Insomma, qualcosa di indefinibile in senso assoluto.
Quindi chi decide cos’è arte e cosa no? Troppo facile rispondere gli storici dell’arte. Ma l’arte contemporanea quali dinamiche segue? Chi decide per esempio il valore di un’opera e, di conseguenza, la sua quotazione? I mercanti d’arte, i critici, i collezionisti? E come riuscire a portare alla loro attenzione il proprio lavoro?
D’accordo, l’ho presa larga, forse fin troppo, ma credo fosse necessario per poter parlare di “artisti della domenica” già famosi per altre doti unanimemente riconosciute. Artisti che si chiamano Bob Dylan, John Lennon, Janis Joplin, David Bowie eccetera.
La domanda è: sono apprezzati perché famosi e quindi facilitati nell’esporre le loro opere, oppure perché, come nei poliedrici mostri del Rinascimento – Leonardo, Michelangelo e compagnia bella – l’arte e la creatività trovano infiniti modi per manifestarsi?
La risposta che mi sono dato è che, per alcuni di loro, appare evidente che la musica non basta per esprimere tutta la creatività.
Per altri invece la notorietà è il mezzo che ha permesso loro di proporre lavori che, se fossero stati opera del mio parrucchiere, sarebbero rimasti giustamente relegati nel retrobottega.
Ma cominciamo a fare un po’ di nomi.

John Lennon. Prima di darsi alla musica, frequentò il Liverpool College of Art e successivamente, il sodalizio con Yoko Ono – già artista affermata – sono certamente elementi di un background più che fertile. Al di là delle simpatiche vignette e i disegnini che denotano comunque freschezza di mano, il lavoro che preferisco è il Bag One, 14 litografie del 1969, regalo per Yoko in occasione del loro matrimonio. C’è dentro Egon Schiele e, innegabilmente, il Courbet di L’origine du monde (1866), ma anche tanto erotismo e ironia. Promosso.

John Lennon

Bob Dylan. Parlare male di Bob Dylan è da veri masochisti. Ma, per quanto apprezzi enormemente gran parte della sua musica e la maturità di lavori come Tempest (2012), non posso fare a meno di essere scettico su Dylan pittore. Non saprei, da un lato c’è qualcosa che mi attrae: alcuni colori, certi scorci. Ma dall’altro, lo trovo banale, ipocritamente impressionista, quasi un Rousseau metropolitano, ma senza la poesia di quelle meravigliose giungle, e irrimediabilmente in ritardo. Il tratto è insicuro, la stesura dei colori infantile. Bocciato.

Bob Dylan

David Bowie. Qualcuno pensa ancora che Picasso disegnasse le facce sbilenche per la semplice ragione che non sapesse fare altrimenti. Sbagliato. Era uno dei pochissimi pittori ad avere una perfetta sintonia tra ciò che immaginava e la capacità di rappresentarlo, senza alcun ripensamento, sulla tela. Nel caso di David Bowie è probabile il contrario. Ovvero, le buone idee non sono sostenute da una sufficiente padronanza del disegno e che il tutto sia mascherato da un Espressionismo un po’ stravisto e deformazioni alla Francis Bacon. A suo favore una certa originalità nelle tecniche e nei soggetti. Promosso con la sufficienza.

David Bowie

Joni Mitchell. La tecnica è appena sufficiente, ma il problema – oltre al rappresentare sempre e solo sé stessa, almeno negli ultimi tempi – è che non esiste uno stile. Una volta si ritrae alla van Gogh, un’altra alla Edward Hopper. Sul suo sito ci sono lavori in decine di stili differenti. Strano che si definisca così: “I’m a painter first, and a musician second...”. Purtroppo bocciata.

Joni Mitchell

Ron Wood. È uno che si dà molto da fare e, per non sbagliare, rappresenta esclusivamente il mondo al quale appartiene, ovvero i Rolling Stones e dintorni. I quadri sono enormi e deve consumare – anche se per lui non sarà un problema – tonnellate di colore, compreso il pacchianissimo glitter e le banconote incollate alla tela. La capacità manuale è anche buona, ma non ci siamo, non è arte. Bocciato con simpatia.

Ron Wood

Janis Joplin. Uno stile tormentato, indeciso fra vignette infantili e oli dai colori tenui, terrosi, dal tratto tremolante. Lavori fragili, e al contempo ruvidi, come se riflettessero la voglia di vivere mista all’autodistruzione che hanno caratterizzato la sua breve esistenza. Non classificabile.

Janis Joplin

Peter Doherty. Ecco uno che non mi sta per niente simpatico. Poco importa che usi il sangue per dipingere – mi auguro che almeno sia il suo -, dopo la merda d’artista di Manzoni, non la trovo certamente un’idea originale. Quanto alle opere, sembrano pagine di diario con scritte, disegnini e oggettini appiccicati, tipiche dell’età adoloscenziale, dalla quale probabilmente non si è ancora affrancato. Anche musicalmente è uno che ha poco da dire, e il rocker maledetto è un genere che ormai è fuori moda da tempo. Impossibile non pensare che se Amy Winehouse non l’avesse conosciuto… Bocciato.

Peter Doherty

Leonard Cohen. Dopo essersi ritirato in un monastero zen nel 1994 per cinque lunghi anni, mi sarei aspettato qualcosa in più dei disegnetti abbelliti da tanti bei timbrini giapponesi. Mettiamoci anche che i soggetti spaziano in due sole categorie: sé stesso e nudi di donna, e che usi quasi esclusivamente una tavoletta grafica per poi stampare le opere su carta di riso o simili, mi farebbe venire voglia di stroncarlo senza pietà. E invece sono proprio i suoi autoritratti a salvarlo. Un viaggio interiore senza compromessi che mi porta a rimandarlo a settembre con buone probabilità di promozione, non nell’arte, ma nel fumetto intelligente alla Reiser o Wolinski.

Leonard Cohen

Paul McCartney. Mi scoccia dirlo, perché di sentire quanto siano stati creativi e bravi questi Beatles un po’ mi è venuto a noia. Ma è la verità. Sir Paul ha uno stile, e nel corso degli anni si nota un’evoluzione che ha rinfrescato i suoi quadri. Di certo non mi verrebbe in mente di definirlo uno che fa arte contemporanea, ma è innegabile che le sue opere siano piacevoli, creative e anche più allegre di quanto non sia mai stata la sua musica, sempre velata – a mio parere – da una sottile vena di malinconia. Promosso.

Paul McCartney

Captain Beefheart (Don Van Vliet). Pochi lo conoscono come musicista – Trout Mask Replica, prodotto dall’amico Frank Zappa, il suo album più famoso fra i 39 pubblicati – e meno ancora come artista. Eppure fu uno dei pochissimi che venne considerato una promessa artistica fin dalla tenera età. Potente, neo-primitivo, un po’ Basquiat, prima di Basquiat, un po’ Rotko, distruttore implacabile di ogni opera che non lo soddisfacesse pienamente. Un vero artista. Promosso con lode.

Captain Beefheart

Paul Stanley (Kiss). Chitarrista e cantante dei Kiss – The Starchild, quello con una stella nera sull’occhio destro – debutta come pittore nel 2005, più per merito delle glorie musicali passate che per vero talento. Le sue opere sono una via di mezzo tra street art, pop art e fumetto. Pare che comunque, nel solo 2009, abbia incassato circa 3 milioni di dollari dalla vendita dei suoi quadri. Per la maggior parte provenienti dai fan dei Kiss. Rimandato per nostalgia.

Paul Stanley

Miles Davis. Uno di quelli che, insieme a Don Van Vliet, viene preso sul serio dal mondo dell’arte. Uno che ha portato la stessa determinazione a reinventare sé stesso e la sua musica nelle arti visive. Uno stile muscoloso, fluido, piacevole. Promosso con lode.

Miles Davis

Marilyn Manson. Magari sarà solo un bravo ragazzo che gioca a fare il posseduto, o forse è solo vittima del suo stesso egocentrismo. Forse fa i quadri che fa perchè gli piacciono davvero. Posso solo dire che ha una discreta padronanza nell’uso dell’acquerello, il che ne potrebbe fare un buon illustratore, magari di fiabe horror per bambini cattivi. Ciò che è certo è che i suoi quadri non fanno paura e tanto meno ribrezzo, almeno nel senso che intenderebbe lui. Rimandato a settembre.

Marilyn Manson

Tony Bennett. Un maestro dello swing come lui non dovrebbe esporre il fianco in modo così plateale. Voglio ricordarlo per l’album del 2006 Duets: An American Classic e non per la serie infinita di acquerelli per cui, secondo la legge delle probabilità, ogni tanto ne salta fuori uno decente. Bocciato con rammarico.

Tony Bennett

Richie Havens. Impossibile dimenticare la sua performance a Woodstock, con quel modo di suonare la chitarra col pollice e la parola freedom ripetuta ossessivamente. Trovare sue opere in internet è piuttosto difficile. Si sa che negli ultimi anni si era dedicato alla digital art con risultati non eccezionali. Non classificabile.

Richie Havens

Laura Pausini, Francesco Renga, Mogol, Paolo Conte, Battiato. Per quel che riguarda il panorama italiano, dobbiamo ritornare all’introduzione di questo pezzo. Ovvero all’artista della domenica, il poeta di paese, alla sagra della ciavatta. Se per quanto riguarda gli artisti internazionali capita d’imbattersi in lavori di notevole valore artistico, l’Italia è messa davvero male. Eviterei quindi di dare giudizi su Laura Pausini, Francesco Renga e Mogol, se non di continuare a fare ciò che hanno fatto – bene o male – fino ad ora nel campo che è loro più congeniale. Come diceva Sordi: “Senz’antro bocciati!”.

Pausini Renga Mogol

Franco Battiato, va fuori classifica perché, oltre agli innumerevoli sufi danzanti e non, ci troviamo davanti a lavori di grande infantilità. Bocciato.

Battiato

Rimane Paolo Conte, che forse si giudica ironicamente da solo attraverso il suo pezzo Pittori della domenica, ed è in fondo quello che tra tutti possiede uno stile più definito e abbastanza piacevole. Per lui la promozione è d’obbligo.

Paolo Conte

Naturalmente in questa carrellata mi sono occupato esclusivamente di musicisti, ma l’elenco dei “pittori della domenica” famosi potrebbe continuare all’infinito come in un gioco di scatole cinesi. Tra gli attori si potrebbero citare Silvester Stallone, Johnny Deep, Pierce Brosnan, Tony Curtis. Tra i registi Tim Burton e David Lynch, per non parlare di un pessimo acquarellista di nome Adolf Hitler e del suo collega Winston Churchill e, più recentemente, di George Bush o Carlo d’Inghilterra, non dimenticando tra gli scrittori un certo Dino Buzzati.

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