Non avete ancora visto Le regole del caos, film di Alan Rickman, tenero e per certi versi sorprendente? Beh, ne vale la pena, leggete la recensione di Marco Bacci su e ve ne convincerete. E – se oltre alla storia d’amore tra il famosissimo giardiniere del Re Sole André Le Nôtre e Sabine De Barra, personaggio di fantasia, che insieme realizzano i giardini di Versailles – vi ha appassionato (o anche solo incuriosito) la disputa tra il razionalismo dei giardini francesi e il piccolo caos – titolo originale del film – metodo con cui lavora De Barra, leggete E il giardino creò l’uomo di Jorn de Précy, breve saggio edito da Ponte alle Grazie. E capirete ancor di più, se ne fosse necessario, che la realizzazione di un giardino è una questione squisitamente politica, ancor prima che filosofica.
Jorn, nato a Reykjavik nel 1837, visita Roma e la Toscana, vive a Venezia e Parigi. Nel 1861 si stabilisce nell’Oxfordshire e scrive questo libro-manifesto, purtroppo l’unico, nel 1912, dopo aver messo in pratica i suoi convincimenti nella tenuta di Greystone, dove accoglie personalmente chiunque voglia visitarla – tra questi, Claude Monet, nel 1906, e “un giovane romanziere tedesco assai promettente, un certo Hermann Hesse (!)”. Nella disputa tra il razionalismo – “i francesi hanno preso tutto dai giardini italiani tranne la poesia” – e il piccolo caos de Précy è per il selvatico, tanto che esorta: “Fate giardini! Veri giardini, naturalmente, luoghi indomiti, fuorilegge…Tracciate il vostro disegno sulla faccia della terra, che si presta sempre volentieri ai sogni dell’uomo, piantate un giardino e prendetevene cura”. E specifica che non sta parlando del giardiniere che pianta ogni anno “orribili begonie”, pagato per “tenere in ordine”, espressione che dovrebbe essere bandita dal vocabolario.
La sua è un’idea attuale e rivoluzionaria in cui l’uomo si mette in ascolto del genius loci, non forzando ma assecondando le forze della natura. Un precursore, Jorn, che anticipa l’ecologia moderna e il movimento hippy, nella visione utopica degli spazi verdi – per lui sarebbe un orribile neologismo! – come programma politico. Non c’è solo teoria in E il giardino creò l’uomo, ma anche pratica che si traduce, per esempio, nel “togliere l’orribile pavimentazione in granito a ventaglio per ritrovare la terra, a cui ho mescolato ciottoli e sabbia per creare dei sentieri (…) le rose, piantate in mezzo ad altri arbusti o rampicanti sugli alberi si mescolano con i fiori selvatici”.
Oggi dell’antico giardino di Greystone non resta nulla: la proprietà è stata acquistata nel 1956 e trasformata in albergo di lusso, con vialetti bordati dalle odiate begonie.
Ma de Précy, oltre che in questo libro, è vivo e lotta insieme a noi anche nelle note di una canzone di Dylan, mai incisa, cantata nel 1964 a Washington durante una manifestazione di protesta contro la guerra in Vietnam: “They say Jorn’s wildflowers have died/but I saw Greystone in a dream last night/and all the roses started to bloom/when I stepped in to the garden”.
E il giardino creò l’uomo. Per gustare di più il caos
Il libro che piaceva a Dylan per capire la filosofia del film Le regole del caos