Quel 21 giugno 1985 arrivai davanti a San Siro con l’amico Oscar che erano le 15, l’orario esatto d’apertura dei cancelli. Andammo nel prato. Arrivammo fino a venti metri dal palco e ci accomodammo lì. Ben presto, prato e primo anello (il terzo era ancora di là da venire…) furono pieni di gente fremente e divertita.
Avevamo tutti ancora negli occhi le immagini fresche del mattatoio che era stato lo stadio Heysel dove, per una finale di Coppa dei Campioni di calcio e imbecillità annesse e connesse, ci avevano lasciato la pelle più di trenta persone. Ma nessuno si ubriacò sconciamente, nessuno caricò nessuno, nessuno prese a calci in faccia poliziotti. Il pomeriggio passò in maniera del tutto indolore, anzi: fu una vera festa. Volarono palloni da spiaggia, quelli gonfiabili, leggeri, e frisbee; c’era un’atmosfera di grande avvenimento, una tensione positiva nell’aria da poterla affettare con il coltello. Molti dei presenti già seguivano Springsteen da tempo anche nelle sue esibizioni live, che nella precedente tournée di “The River” aveva sfiorato l’Italia, quattro anni prima (Zurigo in Svizzera e Lione in Francia nel 1981…), attirando molti fans di Broooooooce! fino oltralpe.
Giravano voci sulle esibizioni di Springsteen che avevano dell’incredibile. Minimo tre ore di concerto, dicevano quelle voci. E negli occhi io avevo anche l’esibizione di Springsteen al “No Nukes” di qualche anno prima, con il finale scatenato di “Quarter to Three”. Man mano che si avvicinavano le 19, ora d’inizio del primo concerto italiano nella storia del Boss, la tensione positiva accrebbe. Tra le 16 e le 18 si ebbe la punta massima di accensione di fumisterie varie e plurime (non come con Bob Marley ma era un concerto rock, mica reggae, siate comprensivi…), lingua in bocca tra giovani maschi e giovani femmine che s’erano appena conosciuti e racconti di visioni mistiche e illuminazioni di massa durante i concerti del Boss. Alle 19, con quella precisione da esattore delle tasse tipica dei blue collar yankee, il Boss salì sul palco. E, gente: tutto quello che avevo sentito raccontare, erano bazzecole, rispetto alla realtà. Ricordo solo che dopo i primi tre pezzi (una bella raffica: Born in the USA/Badlands/Out in the Street, roba da convincere un tacchino a gettarsi in forno spontaneamente), il mio socio e io ci guardammo e durante “Johnny 99” convenimmo che tutti i racconti uditi riguardo alla bellezza di un concerto del Boss erano niente, rispetto alla realtà. Allora Bruce attaccò “Atlantic City”, e il mio cervello fece scattare il selettore della razionalità su “Off” fino a “Thunder Road” che chiuse il primo tempo. Un’ora e 45 di concerto, e solo primo tempo! E poi un secondo tempo dall’attacco folgorante di “Cover Me”, i cori collettivi da pellerossa per “Cadillac Ranch”, lo shock di “Because the Night” e l’apoteosi del passaggio fulmineo da “Can’t Help Falling in Love” a “Born To Run”, pensai: “Cazzarola, ma ‘sto concerto è “I 10 Comandamenti” del rock and roll.”. Ma dopo i magmatici 20 minuti del bis di “Twist & Shout” e il tris di chiusura di “Rockin’ all Over the World” eseguita dinanzi a un pubblico ormai in delirio anche se stanchissimo, pensai al “Mucchio Selvaggio” di Sam Peckinpah, sparatoria finale inclusa. E se non lo era stata veramente. Tre ore e mezzo di show. Mamma mia, mamma mia!
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SCALETTA DEL CONCERTO
Born in the U.S.A.
Badlands
Out in the Street
Johnny 99
Atlantic City
The River
Working on the Highway
Trapped
Prove It All Night
Glory Days
The Promised Land
My Hometown
Thunder Road
Cover Me
Dancing in the Dark
Hungry Heart
Cadillac Ranch
Downbound Train
I’m on Fire
Because the Night
Backstreets
Rosalita (Come Out Tonight)
Can’t Help Falling in Love
Born to Run
Bobby Jean
Ramrod
Twist and Shout
Do You Love Me?
Rockin’ All Over the World