Wolfgang Haffner
Kind Of Cool (ACT)
Voto: 6/7

Ogni volta che arriva sul mercato un album che raccoglie una riproposta dei vecchi standard, brani di riferimento, su cui il jazz ha posto le proprie più importanti tappe espressive, di volta in volta riadattandoli o stravolgendoli, anche se talvolta non erano nati come pezzi di musica afroamericana, si pensa “ma ce n’era proprio bisogno?” Layout 1Soprattutto se a proporceli sono musicisti che frequentano i palcoscenici jazz da decine d’anni, famosi, come nel caso del batterista tedesco Wolfgang Haffner (chiedere a Pat Metheny, Michael Brecker, Al Cohn, Joe Pass oppure John Abercrombie per conferma), per la loro affidabilità e sicurezza più che per le idee rivoluzionarie.
Eppure questo Kind Of Cool (“ha qualcosa di particolare che ci porta ad ascoltarlo con piacere e a suggerirlo agli appassionati. Innanzitutto la formazione azzeccata, che unisce un poker di musicisti alla Modern Jazz Quartet (con il vibrafono sottile di Christopher Dell, l’ottima cavata del contrabbassista Dan Berglund e il piano sapiente di Jan Lundgren, oltre al leader) alla tromba sempre più poetica con il passare delle stagioni dell’83enne Dusko Goykovich e al sax alto del promettente finnico Jukka Perko. Poi l’approccio ai temi, mai di petto, sempre un poco “laterale” e rilassato, sempre tranquillo e descrittivo. Verrebbe di dar ragione a chi ha scritto che Haffner “spiega il cool jazz” ma il suo approccio è talmente sereno e disinvolto, straight-ahead e scorrevole da presentarsi più che come una spiegazione, come un discorsetto estivo, solleticante e sorridente, con qualche ricordo e una spruzzata di romanticherie, come quelli che si fanno sotto l’ombrellone.
Tre gli originali del batterista: l’iniziale “Hippie”, una vera e propria dichiarazione d’intenti, cool che più cool non si può; la rilassata “Tantricity”, con un suadente intrecciarsi di brevi dialoghi; la conclusiva “Rememberance”, perfetta chiusa a tema. Tra i classici ripresi spiccano la “Piano Man” di Billy Eckstein, dove si aggiunge la voce rasposa e notturna di Max Mutzke, la gershwiniana “Summertime” che diventa un accattivante swing retto dalla tromba sordinata, la davisiana “So What”, vivace e iconica pur nelle sottili variazioni della linea ritmica, e “One For Daddy O” di Nat Adderley, con l’eccellente trombonista Nils Landgren come ospite.

Che dire? Basta citare la cura di oltre 250 cd compilation di new age, jazz, world e quant’altro? Bastano una ventina d’anni di direzione artistica dell’Etnofestival di San Marino? Bastano i dieci come direttore responsabile di Jazz Magazine, Acid Jazz, New Age Music & New Sounds, Etnica & World Music? Oppure, e magari meglio, è sufficiente informare che sono simpatico, tollerante, intelligente... Con quella punta di modestia, che non guasta mai.

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