Vinicio Capossela nel paese di Collisioni

Ha da poco pubblicato il romanzo "Nel paese dei coppoloni" e venerdì sera ha inaugurato il festival Collisioni con il suo racconto concertato, molto più di un semplice concerto.

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Vinicio Capossela
Riccardo Medana

L’ultimo lavoro di Vinicio Capossela è un romanzo, Nel Paese dei Coppoloni, nato dopo 17 anni di lavorazione. Era il ’98 quando con una caviglia rotta iniziò a scriverlo. Il penultimo lavoro è un disco: Rebetiko Gymnastas, anno 2012.

Per Collisioni ha ideato uno spettacolo particolare, un racconto concertato, un po’musica e un po’ letteratura, dove presenta i suoi Coppoloni tra una canzone e l’altra. Il cilindro nero luccicante e la folta barba nera gli conferiscono un’aura particolare, potrebbe essere appena uscito da un cartone animato, ma di quelli vecchio stile come Pinocchio. Come un mangiafuoco porta la magia in questo piccolo paesino, viene accolto dal pubblico in maniera inaspettata, nei due giorni in cui è presente al festival la gente balla con la sua musica ma soprattutto grida il suo nome. Quasi come fosse l’ospite principale, quello più atteso.

Concepisce il suo spettacolo come uno sposalizio e il clima è esattamente quello, sale sul palco con un calice di vino e dà il benvenuto al suo pubblico ricopredolo di riso. Suona la tradizione accompagnato dalla banda della Posta, quelle musiche folkloristiche e popolari che si ascoltano alle sagre di paese, le tarante, i tanghi. Porta sul palco fisarmoniche e mandolini, mescola musica popolare e musica colta. Poi interrompe tutto, il silenzio cala, e legge dei Coppoloni, li descrive come li avesse davanti agli occhi, quasi fossero reali e li avesse incontrati nei paesi più sperduti d’entroterra. Loro ci accompagnano, tra animali pericolosi e lupi che ululano alla luna, e Vinicio gli dedica canzoni, come La notte di Salvatore Adamo, pensata per Ottolino, un vecchietto del suo romanzo alto un metro e trentotto.

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Mantiene lo sguardo al passato, a quelle realtà che si stanno andando a perdere nel mondo cosmopolita. << Perchè nella tradizione c’è la storia>>, anche se nella dimensione del racconto è come se si fermassero le lancette del tempo, perchè si entra nel mito, e il tempo del mito è immobile. Questo prova a spiegarlo il giorno dopo, durante l’incontro con il suo pubblico, senza strumenti di mezzo. Sente molto la nostalgia, il tempo che passa e che non torna, forse la vera condanna dell’uomo da sempre. Da Adamo cacciato dal posto dove tutto sembra immutabile per aver praticato la strada della conoscenza, eccolo il destino dell’uomo. Arrendersi al tempo che scorre sulla propria storia, anche se per Capossela è molto peggio la nostalgia legata alla storia degli altri, alle possibilità, ai periodi non vissuti.

Con lui è una messa laica e materiale, legata profondamente alla terra che ha soprattutto il sapore di Sud, dove Capossela si è elevato a maesto di cerimonie e ci ha guidati nel suo paese di Coppoloni, fatto di storie fantastiche e bizzarre, con danze tra compagni immaginari e manici di scopa.

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