Con colpevole ritardo voglio segnalare la mostra Arts & Foods. Rituali dal 1851 che è in corso alla Triennale di Milano (fino al 1° novembre). Anch’io sono caduto nel generale disinteresse che accompagna questa manifestazione cui non hanno giovato le polemiche sui costi (e il compenso del curatore Germano Celant), una immagine promozionale troppo raffinata e poco efficace, forse anche un minore appeal che esercita ultimamente la Triennale stessa. E nonostante l’ingresso sia gratuito per i visitatori di Expo. Insomma non c’ero ancora andato.

Andreas Gursky.99 cents II.2000
Andreas Gursky.99 cents II.2000

Errore gravissimo. Delle molte manifestazioni che ci sono in città legate all’Expo, è infatti questa la mostra di gran lunga più bella. E più utile. La mostra è strutturata in ordine cronologico, ma non è una mostra “lineare”: costituisce piuttosto una griglia tridimensionale in cui presente praticamente tutto quanto riguarda il rapporto tra arte (nell’accezione più ampia) e il cibo dal 1851, anno della prima Esposizione Internazionale a Londra, fino ai giorni nostri. È una mostra fluida, appagante, sorprendente. Una mostra kolossal come le grandi mostre che si facevano agli inizi degli anni Ottanta: occupa tutti i 7000 mq della Triennale più alcune sculture nel giardino antistante.

Mimmo Rotella.Arachidina.1963
Mimmo Rotella.Arachidina.1963

La mostra ci offre una narrazione di larghissimo respiro e di altissimo profilo: ci prende per mano da una stanza da pranzo vittoriana e ci conduce fino alle tendenze espressive più recenti. Ma, sebbene l’impronta curatoriale sia fortissima – è una mostra Celant al 100% –, consente, anzi sollecita, diversi livelli di lettura. Da quello puramente estetico (dalla ciotola di plastica alla teiera di design, ai quadri di Picasso, Monet, Zandomeneghi, Morandi, ai manifesti di Dudovich) a quello di puro divertimento (una miniera di curiosità) a una lettura di tipo antropologico, storico, sociologico, interdisciplinare. In mostra vi sono ovviamente mobili, suppellettili, dipinti e sculture. Ma vi si trovano anche vetri, ceramiche, posate, libri, menù, riviste e giornali, una ricchissima documentazione fotografica, e alcuni dagherrotipi, giocattoli, moto e automobili, macchine per caffè e tutti i tipi di elettrodomoestici, cucine, armadi, tavoli, la ricostruzione di ambienti per bar e ristoranti, una navicella spaziale russa, film, teatro, musica, copertine di dischi, bozzetti, prototipi di cucine, la razione “k” dell’esercito americano, vassoi e posate delle linee aeree, la sala da pranzo di D’Annunzio al Vittoriale, costumi, divise, livree, moda…

Claes Oldenburg e Coosje van Bruggen. Leaning Fork with Meatball and Spaghetti II.1994
Claes Oldenburg e Coosje van Bruggen. Leaning Fork with Meatball and Spaghetti II.1994

Viene analizzato con estremo rigore il passaggio da un mondo tradizionale, arcaico quasi, alle successive e progressive rivoluzioni: tecnologica (l’inscatolamento  e la creazione dei mercati urbani), politica (la democratizzazione dei consumi), sociale (gli elettrodomestici e il nuovo ruolo della donna), storica (il cibo in guerra, nello spazio, nei luoghi di lavoro), antropologica (dalle posate rituali dei cannibali alla società dei consumi). Dalla natura alla tecnica. Tutto.
Ma anche le degenerazioni non sono ignorate: fame e obesità, anoressia e bulimia, degrado ambientale e manipolazioni genetiche. C’è poi l’autore e il consumatore: l’uomo. Che è chef, cameriere, contadino, macellaio, pescatore, ma è poi sempre e comunque il consumatore: negli slum o in ambienti borghesi, nei bar, nei ristoranti, nelle trattorie, nelle bettole; in privato e in pubblico, alle feste o nelle cerimonie religiose, in casa o durante un picnic. E il designer, naturalmente: dagli elegantissimi arredi di Mackintosh, Dresser, Hoffman dell’Art Nouveau, ai più funzionali maestri del Bauhaus, agli artisti dei nuovi materiali – la plastica soprattutto – e la nascita del grande design italiano. Il ruolo creativo del nostro paese emerge prepotente. Non soltanto per la ricchezza dei prodotti, per la cultura gastronomica nel cucinare e nell’educare, per le straordinarie tecniche (le macchine per il caffè per dirne una), per il design e per l’industria.

Issey Miyake.Pleats Please.2008
Issey Miyake.Pleats Please.2008

Il rapporto tra artista e cibo è sviscerato in tutti i suoi aspetti e nelle sue evoluzioni più importanti: Renoir, Picasso, Léger, Severini, Boccioni, Soffici. Una attenzione particolare è dedicata a quelle correnti che con più passione si sono occupati del cibo: il Futurismo un po’ caciarone, il cafonissimo approccio della Pop Art al junk-food, i raffinati riferimenti di Fluxus o dell’Arte povera. Eccezionale è infine l’esposizione al primo piano dedicata all’arte più recente: Kounellis, Merz, Penone, Beuys, Frank O. Gehry, Dennis Oppenheim, Crewdson, Paul McCarthy, Jeff Koons, Edward Burtynsky e gli stupendi Miles Aldridge e Mona Hatoum. Particolarmente efficace sono gli spezzoni di film sparsi un po’ ovunque negli spazi della Triennale: da Hans Richter a Greenaway, passando per le abbuffate di Ferreri e Buñuel, da Chaplin al Neorealismo. E senza tralasciare il design del grande cinema di fantascienza da Blade Runner ad Alien. Non mancano le architetture dei nuovi vignerons e la moda che di più si è accompagnata al cibo (Ken Scott, Dolce e Gabbana, Moschino). E l’erotismo, ovviamente: dall’insuperata Josephin Baker con gonnellino di banane alle conturbanti pin-up di Mel Ramos.
Una chiusura ideale è la teoria di “Ultime cene” presenti in mostra: Andy Warhol naturalmente, Marisol, Andreas Serrano, Vik Muniz, Vanessa Beecroft, Ynka Shonibare.Da confrontare – ovviamente – con il Leonardo di Santa Maria delle Grazie e con il Tintoretto, attualmente nel padiglione del Vaticano in Expo.

 

 

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci qui il tuo nome