Locarno. Ricki and the Flash. Streep rock?

Meryl, mamma rockstar proletaria, riconquista la famiglia perduta e rancorosa

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Si è aperto Locarno con Ricki and the Flash (da noi Dove eravamo rimasti, previsto in settembre) fuori concorso in Piazza Grande. Regia di Jonathan Demme. Mamma Streep di notte suona suona il rock per attempati nostalgici in un povero bar e di giorno è commessa in un supermercato. Una volta aveva una famiglia nucleare, poi esplosa: una figlia ha tentato il suicidio, un figlio le rinfaccia l’abbandono, un altro è gay, l’ex marito ha risposato una signora di colore e vive in una specie di imitazione borghese di una mansion da aristocratico. E lei ha pochi soldi ed è impresentabile in società: mica tutti arriviamo ai settanta come i Rolling Stones. I primi dieci minuti di film sono un enigma tra il kitsch della Streep che canta e suona nel bar e l’indagine di mercato: è possibile che l’indagine di mercato abbia rilevato che il futuro è delle pantere grigie che un tempo ascoltavano o facevano rock?  Oppure ha evidenziato che la Streep in versione cantante (vedi Mamma mia!) funziona e prende pubblico? Molto americano…  Il resto, cioè la musica, nonostante una sfilza di cover da riempire un album, si tiene in piedi per il mestiere di tutti, e Demme è classico e fluido nella regia, fino alla domanda chiave: la madre snaturata e rockettara andrà o no al matrimonio del borghesissimo figlio tra quelli con la puzza sotto il naso? Lì si sfiorano orizzonti tra il melò televisivo più bieco e la teoria un po’ wendersiana “il rock mi ha salvato la vita”. Potete decidere voi: il gran finale tira alla lacrima catartica con sfogo in pista da ballo. A pensarci poi è una variante molto meno intellettuale del libro di nostalgie rockettare di Jennifer Egan Il tempo è un bastardo. E quello è stato premio Pulitzer. Questa storia è ispirata alla vita della suocera di Diablo Cody, sceneggiatrice…

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