Il motivatore che ha scritto il bestseller Aiutami ad aiutarti approda nel solito hotel per parlare a una convention di venditori di servizi.  È demotivato, stanco, anziano, fuma in un mondo in cui è vietato, beve dal minibar, sente la famiglia al telefono, cerca un vecchio amore per chiudere la serata a letto e si prende un  pezzo di passato in faccia. Faccia che si può smontare, identica per tutti i personaggi del film: tutti automi automatici, pupazzi in stop motion. Poi il motivatore demotivato incontra Lisa, ragazzotta con la faccia diversa, tenera, semplice, ragazza mai richiesta, con un solo squallido amore alle spalle, forse per via d’una cicatrice che rende diversa la sua maschera. E se la porta a letto. Ed è amore. Vero. È a quel punto che lo spettatore sconvolto nel vedere pupazzi animati fare sesso si rende conto che Lisa è l’unica in questo incubo ad aria condizionata nell’hotel che non parla con la voce del narratore, maschile, identica per uomini e donne. Lisa parla con voce femminile. Un’anomalia. Anzi, come la battezza il motivatore demotivato, un’Anomalisa, piccolo capolavoro di Charlie Kaufmann (con Duke Johnson), lo sceneggiatore e poi regista che era entrato nella testa dei protagonisti di Essere John Malkovich, di Se mi lasci ti cancello, di Synecdoche. Anomalisa, film prodotto cercando fondi su Internet con Kickstarter rischia di essere la rivelazione del festival. E come vedete dall’immagine, l’unica recuperabile, vuole mantenere l’anonimato…
Altra anomalia, o rivelazione (per alcuni risultata irritante) è Heart of Dog, di Laurie Anderson che parla della perdita della sua rat terrier Dollabelle. È chiaro che Dollabelle è un modo per parlare della vita, della morte, dell’energia, dell’amore, della famiglia, della perdita, della trasmigrazione dell’anima e di mille altre cose, futili e grandissime. Personalmente trovo deliziosa e inquietante la sua narrazione ipnotica, le musiche campionate, l’uso di immagini di recupero, di filmini deturnati, di foto sfocate, di ricordi, di citazioni anche di volute amnesie e false piste. È una discesa, buddista, che cita anche le procedure di accompagnamento dell’anima previste nel Libro tibetano dei morti, nel nostro essere nel mondo e nel lasciarlo. Se vi infastidisce l’idea di un film che sembra un dolce frullato di sensazioni, pensatelo come un album, dove invece che i suoni Laurie Anderson ha campionato le immagini e le ha reincollate ai sentimenti. Seconda confessione: nel pomeriggio, tra i molti video della Biennale Arte, la Anderson mi mancava…
Terza deliziosa anomalia: De Palma, il documentario sulla vita e l’opera del regista Brian De Palma, diretto da Noah Baumbach e Jake Paltrow. In apparenza De Palma è stato messo seduto con una giacca blu a camicia e le sue orecchie a sventola davanti a un caminetto a parlare e in un flusso delizioso di ricordi di successi (e di insuccessi, di censure, di progetti saltati) alternati a frammenti dei suoi film, ci prende per mano e ci porta a conoscere il suo cinema dall’interno. Sembra facile, vero? Dubitiamo che sia stato un unico piano sequenza miracoloso di 110 minuti di pura ispirazione. Ma tale sembra. Quindi è un piccolo capolavoro di montaggio e di scrittura in cui un genio sta davanti alla macchina da presa, e gli altri due scompaiono dietro lasciando puro spazio al cinema.

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