Vi racconto il mio primo impatto con Milano

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Il primo impatto con Milano? Violento. Un’ora e mezza in macchina per raggiungere il mio appartamento dalla stazione Centrale (15 km), un’altra ora e mezza per fare una spesa di 15 euro all’Esselunga di Lorenteggio e un’ultima ora e mezza per prendere sonno la sera, vista l’adrenalina che avevo in corpo.
Sì, perché io questo trasferimento l’ho voluto con tutta me stessa.
Milano la amo praticamente da sempre: da quando, seienne, diventai tifosa sfegatata dell’Inter e la massima aspirazione per il mio futuro era quella di farmi l’abbonamento a San Siro. Poi, a quella per il calcio si sono sostituite altre passioni: il giornalismo e la musica, in primis. E la capitale italiana in questi due ulteriori ambiti rimane sempre lei: Milano. Una città che negli ultimi anni, per motivi di varia natura, ho frequentato assiduamente. Però, come per tutto, una cosa è vivere le situazioni “da esterni”, altra cosa è immergervisi.
Essendo gli unici luoghi in cui ho vissuto, Mestre e Salamanca (una cittadina dell’entroterra spagnolo grande come un francobollo), l’idea di distanza non mi appartiene. O meglio, di distanze nella mia vita ne ho percorse parecchie: interminabili viaggi in treno verso la Sicilia (sì, lo so, Trenitalia dovrebbe ergermi un monumento), viaggio a Capo Nord col camper, giro dell’Europa settentrionale, sempre col camper, solo per citare qualche esempio. Insomma, in un certo senso si potrebbe perfino dire che la distanza è il mio pane.
Ecco, si potrebbe. Perché se nei viaggi la fatica per raggiungere la meta è uno degli elementi a cui tengo di più, nella vita quotidiana assolutamente no. Sintetizzando, io sono abituata a raggiungere la piazza della mia città in venti minuti, decidere di andare a correre e tre minuti dopo essere al parco. Qui in tre minuti, al massimo, arrivo alla fermata del tram: raggiungere qualsiasi luogo può essere considerato un piccolo viaggio, soprattutto per me che, come avrete intuito, abito nella periferia di Milano (per scelta, che pensate? Semplicemente odio il caos!).
E allora tutto va pensato fin nei minimi dettagli: sveglia all’alba, anche se magari hai un appuntamento alle undici (badate: io ho un concetto piuttosto relativo di alba). Decido di andare in Piazza Duomo? Attrezzarsi come per fare una spedizione sull’Himalaya: caricatore portatile per il cellulare, perché nel caso di pericolo bisogna sempre essere raggiungibili, ombrello perché A Milano c’è la nebbia… ma c’è soprattutto la pioggia, vestiti a cipolla (no, ecco, toglietevi dalla testa la mia immagine con colbacco e pelliccia, che ai livelli di Totò e Peppino non ci sono ancora arrivata). Però, lo avete capito: la traversata di Milano è uno di quei viaggi che vanno preparati in ogni dettaglio.
Anzi, scusatemi, ma ora vi devo lasciare: domani pomeriggio vorrei andare a studiare in una biblioteca che mi è stata consigliata, al centro. E ora devo andare a preparare lo zaino…

La canzone per questo post è Time dei Pink Floyd. Il tempo, a Milano, è diverso da quello di qualsiasi altra città italiana: una frenesia molto ritmata e anche molto affascinante. Probabilmente, qualcun altro avrebbe attinto sempre dal repertorio di Roger Waters & co., optando però per Money, ma credo che motivare i tempi di Milano con un money for money sia quantomeno semplicistico e anche molto ingiusto.

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