Hai lasciato Leda nell’androne del portone della casa della sua amica, dove vi siete guardati con la luce che saliva dal centro altissimo del cielo romano, e non vi siete neppure baciati.

Certo, che senso avrebbe mai avuto. La bellezza provata vinceva su qualunque altro desiderio.

Ma il suo profumo ti ha stanziato tra collo e guancia, vaporizzato sul colletto della camicia, e il taglio dei suoi occhi, due fessure nerissime in mezzo a morbidi rigonfiamenti delle palpebre, un avvenimento così nuovo nella tua vita, ti hanno inseguito nel tentativo di rientro a casa.

Nell’ebbrezza sensuale ipotizzavi che per ritrovare la strada sarebbe stato sufficiente saper tornare alla piazza del caffé da dove eravate partiti.

Non ci riuscisti, la luce si alzava, eri assonnato, improvvisamente infreddolito, gli occhi e la gola impastati.

Indossasti la giacca e attendesti l’apertura del primo bar.

È lì che la storia venne a cercarti, quasi innamorato, così invischiato nel languore di una nuova intimità: quando il caffè apre, trovi posato intonso, ancora vergine, il quotidiano che in basso riporta la notizia.

L’assurda morte toccata a John Lennon ti coglie così, ancora preso dagli effetti di un frastornamento sensuale, e in debito con la notte saltata.

Più impreparato e indifeso rispetto all’assurdo non avresti potuto essere.

Ciò ti permise forse di accusare il colpo come sotto anestetico?

Forse.

Si può mai essere pronti di fronte alle involuzioni della storia? E che avresti fatto altrimenti? Non fossi stato tanto travolto dal bene che ti cresceva dentro come un embrione indefinito, come sarebbe stato apprendere della fine violenta e bizzarra di un uomo fondamentale?

Niente di diverso da ciò che in realtà fu. Solo, la chimica che in quell’istante ti abitava seppe tamponare la portata di tanto orrore.

Fu come sentirlo di lontano, o immerso per parecchi metri sott’acqua, dicendosi di avere tutto il tempo per uscirne e cominciare a capire meglio, quasi che la gestione emotiva del danno, fatta con la giusta misura, potesse in qualche maniera cambiare le cose.

Ti mettesti a sedere. Bevendo pessimo tè bollente rimanesti in quel limbo per parecchio tempo con la testa vuota, in cui sbocciavano di tanto in tanto il viso ovale di Leda e il suono della sua voce fioca, che ti facevano affiorare con maggiore violenza il battito del cuore dal colletto della camicia, nell’indifferenza che tutto il mondo sa avere per ciò che sconquassa invece un singolo animo.

Finché ti fu chiaro che dovessi chiamare il tuo ospite per pregarlo che venisse a prenderti, giacché non sapevi come fosse successo, ma ti eri smarrito nel centro di Roma.

gianCarlo onoratoMusicista, scrittore e pittore fuori dagli schemi, ex leader di Underground Life. Ha pubblicato i dischi: Il velluto interiore (1996), io sono l’angelo (1998), falene (2004), sangue bianco (2010, Premio Giacosa), ExLive (2014) con Cristiano Godano, quantum (2017), “quantum Edizione Extra” (2018), ha curato la co-direzione artistica del Tributo a Luigi Tenco come fiori in mare Vol. I (2001) e Vol. II, in “Sulle labbra di un altro” (2011), ed i libri: Filosofia dell’Aria (1988), L’Officina dei Gemiti (1992), L'ubbidiente giovinezza (1999), Il più dolce delitto (2007), “ex-semi di musica vivifica” (2013), La formazione dello scrittore” (2015). Ideatore del Seminario del Verbo Musicato, ha centinaia di concerti alle spalle e un disco, un tour e un nuovo romanzo nel prossimo futuro. giancarloonorato.it

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