di Dino & Franco Piana Ensemble
Voto: 7/8
È la family band per eccellenza del jazz italiano. Con il decano trombonista Dino Piana, storico protagonista al fianco del trombettista Oscar Valdambrini, che ha già superato la soglia degli 85 anni, sono infatti il figlio Franco, flicornista e arrangiatore raffinato, il genero dell’uno e cognato dell’altro Ferruccio Corsi all’alto e suo figlio (nonché nipote di entrambi i Piana) Lorenzo, flautista già assai apprezzato. Completano l’ensemble fiatistico il trombettista Fabrizio Bosso e l’altro sassofonista, tenore, Max Ionata, mentre ospiti eccellenti il trio ritmico composto da Enrico Pieranunzi al piano, Giuseppe Bassi al contrabbasso e Roberto Gatto alla batteria. Ovvero il meglio della piazza romana, la più feconda certamente di casa nostra.
Nove le composizioni, tutte a firma di Franco, che, a oltre tre anni di distanza dal precedente Seven, conferma ancora una volta le riconosciute doti di scrittura e di elaborazione timbrica, con grande attenzione alla prospettiva del singolo quadro sonoro e al limpido fluire dell’insieme. Un hard bop moderno e di sostanza quello che propone il nonetto, capace di proporre più che “masse di suono” in movimento intense performance dall’attrito semplice e immediato tra il singolo assolo e la realtà del gruppo. Più che di una narrazione fluida, l’ensemble si fa carico di grande intensità sul breve periodo, su uno spazio e un tempo ristretti, come se il guizzo, la concentrazione e il senso fossero l’esito di un lancio dettato dagli insieme più che l’ispirazione di un magistero tecnico e formale pur detenuto dai singoli protagonisti.
Questo è assai positivo e lo si legge in brani come “Just A Reflection” con un Bosso antologico, come “Five Generations” dove spicca soprattutto Ionata o come “Only Now” con un intermezzo poetico di Pierannunzi. Elegante ed efficace, tutto Seasons è riuscito, melodicamente di buon lirismo, impostato secondo la classica struttura del jazz mainstream, sospinto da musicisti di indubbio talento e di alta routine, sempre lontano, nonostante la classe distribuita, da un autocompiacimento fine a se stesso.