Macbeth. Il potere logora e basta

L'uomo che volle farsi re. Secondo Shakespeare

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Macbeth
di Justin Kurzel
con Michael Fassbender, Jack Reynor, Marion Cotillard, David Thewlis, Elizabeth Debicki
Voto 7/8

A ogni Macbeth che approda al cinema si risponde con un Macbeth cinematografico del passato. A questo di Kurzel ora si contrappone quello di Polanski, dimenticando che anche ai tempi di Polanski c’era sempre qualche purista che non perdonava le ispirazioni eterogenee (Polanski citava la pittura di Goya, che ovviamente Shakespeare non poteva conoscere, e usava la musica dei Third Ear Band, che sembravano medievali ed erano psichedelici) e al Macbeth di Orson Welles si rinfacciò la cartapesta dei macigni e dei castelli (oggi è considerata una scelta di teatro geniale). Kurzel propone un Macbeth non teatrale negli spazi, ambientato nella nebbia, nel fango e nel sangue, negli accampamenti, tra guerrieri vestiti come monaci e re e dignitari che portano stole e mitre come -correttamente- in quel tempo si fondeva il potere della spada dal basso con quello religioso dall’alto: è una commistione pagana tra voglia e paura del potere (la profezia delle streghe è esattamente il desiderio segreto di Macbeth che “sa” che l’ambizione lo spinge al regicidio) e tra desiderio del potere e incapacità di sostenerlo (che porta alla follia di lady Macbeth). In più c’è un uso del testo di Shakespeare che “suona” anomalo, ma solo perché non segue le sceneggiature “cinematografiche” precedenti: ogni tanto recupera schegge poco usate del testo, ogni tanto lo piega a significati diversi. Alla fine Kurzel è stato rimproverato di fare uno Shakespeare scolastico, invece lo “tradisce” ci dà un incipit con la battaglia (che Shakespeare fa raccontare dai testimoni dopo) e un finale senza foresta di Birnam che cammina (anzi l’ha devastata) lasciando all’aria il colore del sangue che pervade tutto come un’allucinazione: Fassbender, a Cannes, parlava di Macbeth come di un soldato affetto da sindrome post traumatica. Aveva ragione.

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