David Bowie: il visionario che riconobbe subito il talento di Bruce Springsteen

0

“Over here on E Street, we’re feeling the great loss of David Bowie. David was a visionary and an early supporter of our music”.”Always changing and ahead of the curve, he was an artist whose excellence you aspired to. He will be sorely missed. – Bruce”.

Con questi due twitter il Boss ha dato l’estremo saluto al Duca Bianco. Quel Duca che da grande genio della musica aveva subito capito le grandissime potenzialità di Bruce considerandolo all’inizio degli anni ’70 l’unico artista americano meritevole di considerazione. Per questo registrò  le sue versioni di “Growin’ Up”, nel 1973, e di  “It’s So Hard To Be A Saint In The City” nell’anno sucessivo.  Nonostante all’epoca Bruce avesse pubblicato già due album, le sue finanze erano ancora assai scarne e spesso non riusciva nemmeno a pagare l’affitto di casa. David Bowie invece era già una star del rock e avere due pezzi registrati da lui poteva costituire – oltre a una bella soddisfazione dal punto di vista artistico – anche una notevole boccata di ossigeno da quello economico. Bowie in un primo momento inserì  “Growin’ Up” in Diamond Dogs (l’album uscito nel ’74) per poi toglierla e ripubblicarla solo  nel 1990 come bonus track nella riedizione di Pin Ups (il disco precedentemente pubblicato nel 1973). “It’s So Hard To Be A Saint In The City” ebbe una sorte analoga: registrata nel ’74 trovò spazio solo nel 1989 nel box Sound+Vision.

Ma David Bowie come aveva conosciuto Bruce? E perché, lui così “spaziale”, raffinato e alieno aveva deciso di incidere due brani di  quel ragazzo così diverso da lui, così semplice e terreno, che vestiva solo jeans e t-shirt? Dopotutto erano così diversi tra loro? Presto spiegato: nel 1973 un giovanissimo Bruce apriva i concerti di Biff Rose, cantante attore e autore di sketch e canzoni, sei date al Max Kansas’s City di New York. Biff Rose era amico di David Bowie che aveva anche scelto una sua canzone (“Fill Your Heart”) per il suo album capolavoro Hunky Dory. Nell’ultima di quelle sei serate Bowie andò a sentire l’amico cantare e vide anche l’esibizione di Springsteen: era il 5 febbraio del 1973 e David non aveva mai sentito nominare Springsteen. Anni dopo – in un’intervista rilasciata a Musician ricordò così quella performance di Springsteen: “Da artista solista lo odiai, poi non appena è entrata la band sul palco Bruce si è trasformato in un’altra persona ed è stato meraviglioso. Mi piaceva moltissimo  il materiale di Asbury Park, le cose che faceva all’inizio della sua carriera…“. I due musicisti non si incontrarono quella sera ma qualche mese dopo David Bowie incise “Growin’ Up” e fu proprio lui il primo artista a fare una cover di un brano di Bruce Springsteen.

Fu poi il dj Ed Sciaky a chiamare Springsteen più di un anno dopo – era il 24 novembre del 1974 – per chiedergli di andare a Philadelphia a conoscere David Bowie. All’epoca il musicista inglese stava registrando l’album Young Americans al Sigma Sound Studios e in quell’occasione iniziò ad incidere anche la sua versione di “It’s So Hard To Be A Saint In The City”. “A Springsteen – disse poi Bowie  – non piacque molto quello che stavamo facendo con la sua musica, o quantomeno non si mostrò molto entusiasta. Doveva pensare che era tutto davvero molto strano, io all’epoca  vivevo in un altro universo. Lui invece era molto timido, ricordo che stavamo seduti in corridoio a parlare del suo stile di vita che era molto Dylaniano, sempre in giro da una città all’altra con la chitarra sulle spalle”.

La sera dopo Bruce (con Sciaky) era allo Spectrum di Philadelphia a vedere il concerto di Bowie.

Alcuni contenuti o funzionalità non sono disponibili senza il tuo consenso all’utilizzo dei cookie!

 

Per poter visualizzare questo contenuto fornito da Google Youtube abilita i cookie: Clicca qui per aprire le tue preferenze sui cookie.

Alcuni contenuti o funzionalità non sono disponibili senza il tuo consenso all’utilizzo dei cookie!

 

Per poter visualizzare questo contenuto fornito da Google Youtube abilita i cookie: Clicca qui per aprire le tue preferenze sui cookie.

Patrizia De Rossi è nata a Roma dove vive e lavora come giornalista, autrice e conduttrice di programmi radiofonici. Laureata in Letteratura Nord-Americana con la tesi La Poesia di Bruce Springsteen, nel 2014 ha pubblicato Bruce Springsteen e le donne. She’s the one (Imprimatur Editore), un libro sulle figure femminili nelle canzoni del Boss. Ha lavorato a Rai Stereo Notte, Radio M100, Radio Città Futura, Enel Radio. Tra i libri pubblicati “Ben Harper, Arriverà una luce” (Nuovi Equilibri, 2005, scritto in collaborazione con Ermanno Labianca), ”Gianna Nannini, Fiore di Ninfea” (Arcana), ”Autostop Generation" (Ultra Edizioni) e ben tre su Luciano Ligabue: “Certe notti sogno Elvis” (Giorgio Lucas Editore, 1995), “Quante cose che non sai di me – Le 7 anime di Ligabue” (Arcana, 2011) e il nuovissimo “ReStart” (Diarkos) uscito l’11 maggio 2020 in occasione del trentennale dell’uscita del primo omonimo album di Ligabue e di una carriera assolutamente straordinaria. Dal 2006 è direttore responsabile di Hitmania Magazine, periodico di musica spettacolo e culture giovanili.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci qui il tuo nome