La corrispondenza. Lettere da un universo kitsch

Lui scompare ma scrive ancora. Da un altro universo?

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La corrispondenza
di Giuseppe Tornatore
con Jeremy Irons, Olga Kurylenko, Simon Anthony Johns, James Warren, Shauna Macdonald.
Voto 5/6 

La prima  (e unica) scena insieme  tra l’astrofisico anzianotto Jeremy Irons e l’allieva astrofisica Olga Kurylenko, che per vivere fa la stunt, è sinceramente imbarazzante. Per le cose improbabili che si dicono nella passione e per il tono, con effetti anche esilaranti, con cui le dicono. Resterà di culto il dono di una canottiera ancien regime da cui l’amata potrà respirare l’odore dell’amato.  Poi tutto migliora (è un eufemismo) perché da lì in poi il resto della storia è affidato a intrighi notarili e a nuove tecnologie, e i due non si incontrano più. È un fiorire di monologhi registrati, plichi, dvd, sms e altre cose per cui i due attori interagiscono a distanza tecnologica.E come mai? Il concetto di fondo è un’ipotesi da teoria delle stringhe e universi paralleli: lui le spiega che ognuno di noi ha un equivalente che vive vite equivalenti in almeno 11 universi paralleli. Lei scrive tesi che suonano come liriche liceali. L’astrofisico innamorato fa capire che se lui o lei venissero a mancare in questo universo, ci sarebbe un altro lui o un’altra lei pronti a supplire da un altro universo. Infatti lui sparisce e per un po’ si potrebbe anche ipotizzare che sentendosi vicino alla fine abbia passato la mano al suo equivalente in un universo parallelo. Poi il resto del film, visto che lei va a sentire una conferenza in cui doveva parlare lui e scopre che è morto (ma continua a messaggiarla e a inviarle pacchi che la raggiungono anche in strada, con un tempismo che ai comuni mortali i corrieri non concedono…), indica che, con la forza dell’amore e la capacità di calcolo dell’astrofisica, lui aveva programmato un amore che andasse oltre la morte, almeno con gli sms e i dvd. Tema nobilissimo (la luce delle stelle morte continua ad arrivarci per millenni) che nell’esposizione fa pensare all’approccio di un dannunziano abbandonato in una stanza con un iPad. Perché  spesso il tutto inturgidisce verso il kitsch. È la deriva dell’improbabilità che già emergeva in La migliore offerta, dove però un po’ di umorismo non involontario alleviava la metafisica insistita del mistero. Qui ahimè, no. Non sappiamo in quale degli undici universi possibili il film sia riuscito. In questo no.

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