Una volta nella vita. Sforzarsi tutti di capire

Genere classe esplosiva/prof intelligente. Variante Olocausto. Ottimista.

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Una volta nella vita
di Marie-Castille Mention-Schaar
con Ariane Ascaride, Ahmed Dramé, Noémie Merlant, Geneviève Mnich, Stéphane Bak
Voto 6

Classe multietnica nel liceo Léon Blum della banlieue parigina: ogni banco un diverso colore della pelle, diversa cultura di famiglia, diversa religione. Molta confusione, molto pessimismo standard, strafottenza. La miscela, quando non è esplosiva è corrosiva, i ragazzi sono caustici nei confronti del corpo docente e già abbastanza scoraggiati in vista del loro destino sociale. Si sentono presenti e futuri emarginati destinati ai posti peggiori nella vita e si comportano di conseguenza. Ci sono come in un piccolo diorama i futuri impiegati, i futuri operai, i futuri chissenefrega, i futuri religiosi e persino i futuri terroristi interni. Tanto, cosa cambierebbe? Tutto è già stato scritto…
La parabola educativa di questa storia è che la loro insegnante di storia, la professoressa Gueguen, è così intelligente da capire che la guerra quotidiana dei ragazzi contro le istituzioni è dettata da paura, insofferenza e ignoranza. Ma a scavare nel disastro ci sono tesori. E lei scava senza arrendersi dando e chiedendo rispetto. E coinvolge la classe in un’interpretazione della Giornata della Memoria per partecipare al concorso nazionale della Resistenza e della Deportazione. Sembra l’invito a nozze per una guerra: classe indisciplinata che fa scappare le supplenti coinvolta in concorso istituzionale sull’Olocausto con cui i presidi si fanno belli. Però, ci dice il film, con un’insegnante così, i ragazzi riescono strada facendo a capire che la violenza che porta allo sterminio  non è l’affare privato di un popolo in un certo periodo storico, ma un pericolo per tutti: il problema è rapportare la realtà a ciò che la storia ha cristallizzato. Il titolo originale è più chiaro: Les Héritiers (gli eredi).
Il risultato è che quelli “brutti sporchi e cattivi” si rivelano decisamente più creativi di quelli delle classi perbenino. È scritto nella struttura nel film, nella struttura di questo genere di film e ti dicono anche che la storia è vera. Il dispositivo retorico standard è portare lo spettatore a impaurirsi dei ragazzi che in mancanza di meglio vogliono fare paura e poi scoprire che ciascuno di loro ha qualcosa da dare e capire se si ha pazienza. Così lo spettatore alleviato si sposta anche lui dalla paura all’entusiasmo (moderato) e partecipa compiaciuto del fatto che il ragazzino musulmano che trova la svolta è ispirato alla vera storia del ragazzino di periferia che con quella prof fece vincere il concorso alla classe e divenne poi scrittore e regista. Non di questo film che è di Maria Castille Mention-Schaar. Terzo film da regista e quarto da sceneggiatrice.

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