Ascoltavo alcuni giorni addietro, con colpevole ritardo, due dischi datati 2008 e finora sfuggiti alla mia attenzione – Decantando di Federica Santi (etichetta Caligola) e Play George & Ira Gershwin di Silvia Schiavoni con i Phantabrass (etichetta Imprint) – e mi dicevo che sono proprio brave le cantanti italiane di jazz, ottimamente intonate, con sprazzi inventivi, persino dotate di una pronuncia inglese più che accettabile.
Quasi questa impressione avesse la necessità di una conferma mi sono piovuti nel lettore quattro lavori pubblicati da poco, tutti con la determinante partecipazione di giovani e graziose cantanti. E tutti freschi, solidi e ricchi, ciascuno a suo modo.
Iniziamo con le due deb di casa Alfa Music (l’etichetta dell’infaticabile Fabrizio Salvatore, che ha preso nel panorama italiano jazz il testimone della meritoria attività di proposta e di scoperta attuata per anni dalla Splasc(h) di Peppo Spagnoli).
cover spalletta

 

Daniela Spalletta D Birth (Alfa Music) – Voto: 6/7  

 

 

La siciliana Daniela Spalletta propone con D Birth un catalogo vastissimo di idee e di intenzioni, passando dal canto disteso allo scat, dall’inglese al dialetto, dal bop alla fusion acustica. Forse manca una decisa messa a fuoco, ma, come spesso avviene per il primo lavoro, si sente il desiderio di proporsi in tutte le sfaccettature di una multiforme capacità espressiva.

daniella spallettaNove brani originali e due arrangiamenti interessanti di “Far Away” e “But Not For Me” si sviluppano con piacevole discorsività grazie agli Urban Fabula, il trio del pianista Sebi Burgio, con Alberto Fidone al contrabbasso e Peppe Tringali alla batteria, il corposo sassofonista Max Ionata e l’Hermes String Quartet. Ma soprattutto grazie alla protagonista, eccellente nei momenti più ritmici e vicini al vocalese, più piana nelle song.
copa Tommaso

 

Jasmine Tommaso Nelle mie corde (Alfa Music) – Voto: 7

 

 

Tornato per la figlia a emozionarsi come ai tempi in cui incrociava le corde con giganti come Sonny Rollins, John Lewis oppure Gerry Mulligan, lo storico contrabbassista lucchese Giovanni Tommaso veste il ruolo di musicista e di produttore in Nelle mie corde. Jasmine Tommaso divide il suo debutto in parti uguali tra sue composizioni (cinque più la magnifica ripresa con jasmine tommasotesto aggiunto del classico “Abbiamo tutti un blues da piangere” del Perigeo, gruppo storico di papà) e stardard (cinque, tra i quali la gershwiniana “Summertime”, “Ho capito che ti amo” di Luigi Tenco e “In A Mellow Tone” di Duke Ellington), con risultati di spessore. Tornata rinvigorita dall’esperienza nella West Coast Jasmine è vibrante e sensibile, soprattutto quando l’atmosfera è malinconica, meno quando si cimenta nello scat. Ottimi gli accompagnatori, tra cui emerge, a volte perfino troppo, il trombettista Fabrizio Bosso.

copa severini

 

Enrico Pieranunzi with Simona Severini My Songbook (Via Veneto Jazz) – Voto: 8/9

 

 

Il terzo lavoro che vi propongo in realtà è a firma Enrico Pieranunzi ed è anche piuttosto personale già dal titolo: My Songbook. Ma se questo cd del pianista romano è un piccolo chef d’oeuvre il merito è anche della cantante che ha voluto, la giovane Simona Severini, già apprezzata con il suo debutto da titolare La Belle Vie, a fianco di un altro pianista che

simona severinipersonalmente amo molto, Antonio Zambrini. La faccia di compositore di song è piuttosto inusuale nel ventaglio sonoro di Pieranunzi, ma la cura con cui oggi ripropone canzoni che tracciano un lungo percorso temporale (le prime, “Soft Journey” e “Fairy Flowers”, risalgono al lontano 1979 e alla collaborazione con il trombettista Chet Baker) rivela quanto il protagonista le ami. E in realtà ne ha ben donde, sono emozionanti e affascinanti, affabulatrici e illuminanti. Simona è impeccabile, così come gli altri musicisti, tra cui il sassofonista guest Rosario Giuliani.
copa carone

 

Giovanna Carone e Mirko Signorile Mirazh (Digressione Music) – Voto: 7+

 

 

Last but not least ecco Mirazh, nuova proposta del duo Farlibe, ovvero Giovanna Carone e Mirko Signorile, che arriva a tre anni di distanza dal precedente Far Libe (Per Amore). Con solo pianoforte e voce, lo strumento fluente e lampeggiante e intimo, il canto presente e disegnato e visuale, intrecciano 11 brani (più l’intro strumentale) liberamente ispirati a Le città invisibili di Italo giovanna caroneCalvino e a Il libro dei viaggi di Beniamino da Tudela, con testi che alternano italiano e yiddish. Il risultato è efficace e convincente, probabilmente più scarno di quanto lo si vorrebbe, il che non significa meno ricco ma piuttosto meno magico, meno continuo. Le canzoni hanno il pregio di dare a tempo e spazio abituali una differente consistenza, legandosi all’avvincente realismo fantastico di universi letterari di altri tempi.

Insomma, queste cantanti, chi più ritmata, chi più narrante, chi più avvolgente, chi più “timbrata”, non fanno altro che contribuire – con i loro convincenti tratteggi – a rendermi convinto che avesse proprio ragione Oliver Sacks, quando immaginava il cervello umano come “un telaio magico, su cui milioni di spore lampeggianti fanno e disfano un disegno: disegno sempre significativo anche se non permanente”.

Che dire? Basta citare la cura di oltre 250 cd compilation di new age, jazz, world e quant’altro? Bastano una ventina d’anni di direzione artistica dell’Etnofestival di San Marino? Bastano i dieci come direttore responsabile di Jazz Magazine, Acid Jazz, New Age Music & New Sounds, Etnica & World Music? Oppure, e magari meglio, è sufficiente informare che sono simpatico, tollerante, intelligente... Con quella punta di modestia, che non guasta mai.

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