Ave, Cesare! Ave Hollywood!

Sembra cinema, ma è una religione del cinema...

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Date a Hollywood quel che è di Hollywood. Ave, Cesare! è un film sulla fede. No, non quella del centurione Clooney che riconosce in Gesù il figlio di Dio in un film che ha lo stesso sottotitolo di Ben Hur (Una storia del Cristo), ma quella del fixer Mannix (Brolin), uno che aggiusta guai a Hollywood nel bel mezzo degli anni 50, e confessa in chiesa una volta al giorno solo quelli che lui crede peccati (fumare di nascosto). Qualcuno ha scritto che se A Serious Man era un film sull’ebreo nel vecchio testamento con un dio duro, Ave, Cesare! è il nuovo testamento: Mannix è cristiano accomodante: aggiusta il rapimento del divo di un peplum, la gravidanza extramatrimoniale di una diva dei film acquatici, porta sui divani della commedia un divo del western di marmorea staticità e tampona le fughe di notizie. E nonostante gli dicano sia il futuro, non va a lavorare in una compagnia aerea. Lui, Il Futuro, l’ha già affrontato: una congrega di sceneggiatori comunisti, al servizio del Comintern, proprio come negli incubi di MacCarthy. Intellettuali che inseriscono elementi di comunismo nelle sceneggiature sociali e usano la macchina hollywoodiana per aprire la via al socialismo. Solo che succede che il socialismo apre la strada alla macchina Hollywoodiana. Davvero i comunisti rapivano divi per chiedere riscatti a risarcimento dello sfruttamento? E si firmavano davvero Futuro? Davvero erano guidati da un ballerino gay di musical (con barboncino di nome Engels) che sparisce dalla California in un sommergibile russo di quelli che tormentavano i sogni dell’American Legion? E con un coro russo? Sembra un film… Avere fede a Hollywood significa credere che la vita è un film. E ogni frammento di questo film dei Coen è girato come uno di quei film: c’è il segmento peplum con Clooney divo babbeo che non ricorda le battute ma commuove tutti sotto la croce, ed è un miscuglio di scene di Ben Hur, La più grande storia mai raccontata, Quo Vadisla Tunica (ed è ancora il modello dell’imminente serioso Risorto); c’è quello acquatico con la Johansson (ispirato a The Million Dollar Mermaid) che si trasforma da sirena alla Esther Williams in una sboccatona che incastra fessi in matrimoni lampo. C’è un cowboy che passa dalle acrobazie coi cavalli ai divani e non sa bene che fare (ma sa usare gli spaghetti come un lazo: che sia l’inventore dello spaghetti western?) e ha appuntamento con una donna che sembra Carmen Miranda ma si chiama Carlotta Valdes, come la bisnonna della Donna che visse due volte. Se il musical con marinai ginnici ed equivoci che si chiedono come fanno i marinai, sempre lontani dalle donne è già quasi Hollywood Babilonia di Kenneth Anger, se i Coen credono alle leggende della guerra fredda, ai segreti sessuali innominabili dei divi, alla fabbrica dei sogni che chiedeva ai teologi di controllare le sceneggiature (I dieci comandamenti era stato analizzato da un collegio di teologi delle 4 fedi principali) allora fanno ironia?! Sì, ma non sarcasmo. Un tempo sarebbe stata un’operazione postmoderna, ma i Coen non sono né il Kenneth Anger di Hollywood Babilonia, nè il Nathaniel West di Il giorno della locusta e non sono più i ragazzi matti di Barton Fink, anche se il loro fixer lavora per la sedicente Capitol (come in Barton Fink…). Ave, Cesare! è un atto d’amore per il cinema-cinema che era fatto di donne e uomini ordinari ricostruiti, ideologie, bugie, delazioni, pubblicità, sessualità negate, operazioni di plastica dolorose e matrimoni finti per convincere la gente a continuare a pagare il biglietto e guardare. Non a caso a un certo punto si vede un serbatoio dell’acqua con scritto Behold, guarda. Abbi fede…

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