AZIZA BRAHIM
Abbar el Hamada
(Glitterbeat)
Voto: 7/8
È degli ultimi giorni di marzo la notizia che alcuni vandali hanno imbrattato i cartelli che all’ingresso del comune di Gualtieri, in provincia di Reggio Emilia, ne menzionano il gemellaggio con la comunità di Mahbes, località nel Sahara Occidentale, prossima all’Algeria, dove risiede uno dei campi profughi in cui sono rinchiusi decine di migliaia di sahrawi, i cittadini del Sahara Occidentale. Mahbes è situata a nord del famigerato berm, il grande muro fatto erigere dal Marocco, ufficialmente per impedire la penetrazione dei combattenti del fronte di liberazione Polisario nella parte di stato (la più ricca ed estesa) gestita direttamente dal proprio governo, di fatto per mantenerne al di fuori gran parte del popolo sahrawi e poterla così sfruttare e colonizzare. L’altra porzione dello stato, praticamente tutta desertica, punteggiata di campi profughi così come la confinante Algeria, pur se controllata dagli irredentisti, è invece affidata alla Mauritania, con il risultato che questa porzione d’Africa affacciata sull’Atlantico, è uno dei pochissimi territori rimasti sul pianeta a non essere autogovernato.
Il più celebre cantore delle sofferenze e delle lotte di questa comunità coraggiosa è una splendida donna, musicista e attivista, dalla voce forte e vibrante, nata in un altro campo profughi nel deserto algerino (vi si raccolgono circa 160.000 rifugiati fin dal 1975), dove sua madre era stata deportata pochi mesi prima: la quasi quarantenne Aziza Brahim. Esule ormai dal 2000, dopo aver studiato a Cuba, vive oggi a Barcellona e porta in giro per il mondo la tradizione della sua terra, miscelandola con i suoni occidentali e di tutto il Continente Nero e con le influenze emotive che le giungono dalla realtà mediterranea delle attuali migrazioni. Abbar el Hamada è il suo terzo album – ma ha all’attivo anche l’EP con cinque brani Mi Canto del 2008 e la colonna sonora del suggestivo film Wylala del 2011, ambientato in un campo profughi sahrawi e in cui Aziza ha anche un piccolo ruolo – e segue Mabruk e il capolavoro Soutak, che ha raggiunto la vetta delle chart europee di world music. Il lavoro, coordinato dal medesimo produttore del precedente, il solido Chris Eckman (già con Bassekou Kouyate e i maliani Tamikrest), esprime tutta la ricchezza del talento di Aziza, in una sorta di poetica e compassionevole dichiarazione sonora sull’età tumultuosa in cui viviamo.
Musicalmente “è un album che ho voluto vario e intenso”, dice Brahim, “nel quale i ritmi tradizionali sahrawi (quali l’asarbat e il shaara) si mescolano con la batteria e le ritmiche dell’Africa occidentale, in particolare senegalesi, aggiungendovi naturalmente delle sonorità mediterranee”. “Da una parte all’altra dell’Hamada” (Hamada è il termine con cui gli sahrawi chiamano quel territorio inospitale di pietre e sabbia dove sono costretti) si vive con estrema difficoltà, in grave miseria, ma con la dignità di chi sopporta fiero il peso di un’ingiustizia subita e sa che un mondo migliore lo aspetta.
Intense ballate, incedere laid-back, eleganze crepuscolari, rare spruzzate di rock e inflessioni afro-cubane, il blues di “Mani” con il grande Samba Toure alla chitarra) si susseguono dense e convincenti, per raccontare forti intenti politici (l’iniziale “Buscando La Paz” afferma che “la speranza di pace si sta dissolvendo”), espressività variegata di una cultura e valori personali fuori dal comune.