Muhammad Ali, l’uomo americano che si rifiutò di combattere in Vietnam

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È morto questa notte all’età di 74 anni Muhammad Ali, il pugile che fu nominato “il più grande sportivo del 900”. Grazie al suo fortissimo carattere è diventato un figura di culto e protagonista di molte battaglie sociali. Come non ricordare quella del 1967 quando Muhammad, allora campione del mondo di pesi massimi, rifiutò di arruolarsi nell’esercito statunitense e di combattere la guerra del Vietnam. «Ho cercato a lungo nella mia coscienza, ma è per me impossibile essere fedele alla mia religione accettando la chiamata alle armi inoltre non ho nulla contro i Vietcong», spiegò tramite un comunicato stampa.
Subito arrivarono le prime reazioni: la commissione pugilistica statunitense gli revocò la licenza a combattere e gli fu revocato anche il titolo di campione del mondo. La legge americana prevedeva inoltre cinque anni di detenzione ed una multa di 10.000 dollari. A seguire legalmente Muhammad ci fu l’avvocato Morton Susman che durante una conferenza stampa dichiarò: «Incriminarlo richiederebbe almeno 30 giorni e ci vorrebbe poi probabilmente almeno un altro anno e mezzo prima di poter mandare Cassius Clay – era questo il suo vero nome – in prigione, dato che i logici ricorsi farebbero rimbalzare il caso di tribunale in tribunale».
Ma le cose non andarono esattamente così e due mesi dopo, nel giugno 1967, venne condannato. L’America passò da amarlo ad odiarlo nel giro di pochi giorni, tanto che addirittura, nel 1968, il conduttore televisivo David Susskind dichiarò in diretta mondiale: «Non trovo nulla di divertente o interessante o tollerabile in questo uomo. È una vergogna per il suo paese, la sua razza e per ciò che egli descrive ridicolmente come la sua professione».
La Corte Suprema degli Stati Uniti revocò il verdetto di condanna nel 1971.
Ciao Muhammad Ali.

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