Bruce, that’s it …

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Su Bruce Springsteen si è scritto e si è letto di tutto. Sappiamo tutto dei suoi dischi, delle sue leggendarie peformance dal vivo. Conosciamo i suoi testi, la sua empatia, il suo impegno a favore dei più deboli, degli indifesi, degli ultimi. Sappiamo che è  materia di convegni umanistici, di studi universitari e di tesi di laurea. Cosa si può scrivere allora di un artista di questo livello? Forse nulla, o forse potremmo cercare di capire (e far capire a chi non lo ama) perché un uomo alle soglie dei 67 anni, dopo oltre 40 di attività, continui a catalizzare l’attenzione e l’affetto di milioni di persone in tutto il mondo, indipendentemente dall’età e dall’estrazione sociale. Le immagini degli stadi europei, da Barcellona a Oslo passando per Dublino, impressionano per la quantità di gente presente. Certo, negli USA non riempie più gli stadi e fa le arene chiuse – obietterà qualcuno – ma tanto è che dopo la chiusura del cosiddetto European Leg, a Zurigo il prossimo 31 luglio, Bruce tornerà ad esibirsi negli stadi americani con 3 date al Met Life di East Rutherford (capienza 82.566 posti), in NJ, il 23, 25 e 30 agosto, 2 al Citizens Park di Philadelphia (7 e 9 settembre, 43.700 posti) una al Nationals Park di Washigton D.C. (41.000 posti, 1 settembre), una al Gillette Stadium di Foxborough (14 settembre, 68.750 posti). In mezzo ci metterà anche 3 spazi ridotti, da 20.000 posti, ovvero lo United Center di Chicago (il 28 agosto), il Veterans United Home Loans Amphitheater di Virginia Beach (il 3 settembre) e il Consol Energy Center di Pittsburgh (l’11 settembre). Evidentemente la richiesta si è rialzata anche da quelle parti.

Bruce continua a raccogliere così tanti consensi, e così tanto amore, innanzitutto perché è un artista vero, uno che nelle sue canzoni, raccontando la storia di una sola persona, parla dell’umanità intera. E’ ciò che teorizzava James Joyce all’inizio del Novecento, e che Bruce incarna alla perfezione. I personaggi delle sue canzoni potremmo essere noi stessi e le vicende narrate potrebbero capitarci in qualsiasi momento, o forse le abbiamo già vissute. Solo che Bruce le racconta, in musica, meglio di chiunque altro, e ti fa sentire sempre meno solo.

Altro punto a favore di Bruce, per spiegare i motivi di tanta passione nei suoi confronti, il fatto che non si risparmi mai. Che si tratti di firmare autografi, stringere mani, fare foto, improvvisare un mini show per la strada (di notte) con una chitarra presa in prestito dal ragazzo di turno (a Roma è successo più di una volta ma le cronache ci hanno raccontato anche di altri episodi simili in altre città), di partecipare a una raccolta fondi o di sostenere una giusta causa, Bruce è sempre lì, disponibile, col sorriso sulla faccia. E ci mancherebbe altro, dirà qualcuno, eppure non è mai così scontato perché una mega rockstar può avere i suoi momenti di depressione o le sue preoccupazioni. E Springsteen anni fa ha dichiarato, anche, di aver sofferto di una forte depressione, e di aver pensato addirittura al suicidio.  Altri tempi, certo, ed è meglio così, ma anche questo contribuisce alla sensibilità di un artista: la sofferenza ti porta inevitabilmente ad una maggiore capacità di stabilire un contatto profondo con chi ti ascolta ed è così che puoi parlargli direttamente, andando dritto al suo cuore e facendogli capire che anche tu hai sofferto e sai cosa si prova.

Ma è sul palco che Springsteen dà il suo massimo: i suoi concerti non durano mai meno di tre ore, piene, senza interruzione, e soprattutto non sono mai uguali uno all’altro. Prendiamo i due concerti fatti a Goteborg in questi ultimi giorni (il 25 e il 27 giugno): Bruce ha suonato 72 canzoni in totale, di cui 38 nella prima data, per un totale di 3 ore e 55 minuti di concerto – SENZA INTERRUZIONE – e 34 nella seconda. Ha eseguito tra una sera e l’altra 37 brani diversi, sconvolgendo qualsiasi concezione di scaletta fino ad oggi conosciuta. Basterebbe questo per capire perché bisogna sempre esserci, finché c’è. Perché non importa se lo hai visto una o duecento volte, un concerto di Springsteen è un rito collettivo che si ripete continuamente senza mai essere uguale a se stesso. Per questo ogni sera è la migliore delle occasioni per vederlo e non è mai la serata sbagliata. Non c’è un meglio o un peggio, c’è solo il differente.

Non è però, ovviamente, solo una questione di numeri e di misure (non lo è mai nelle cose che contano veramente nella vita) quanto piuttosto di qualità, di trasporto, di energia, di passione che Bruce ci mette ogni volta che sale sul palco. Ogni suo concerto è un momento di condivisione e compenetrazione totale tra l’artista, sul palco, e la gente che sta lì di fronte a lui. La carica che ti arriva quando sei lì, sul prato, nel pit o in tribuna, è difficile da quantificare ma facilissima da interpretare: è un’ondata emozionale che non ha eguali, un impatto emotivo positivamente devastante. E’ qualcosa che ti cambia ogni volta e ti restituisce fiducia e gioia di vivere, ti regala anni di vita. E poco importa se il giorno dopo ritroverai tutti i problemi, i guai, le ansie, le difficoltà della vita quotidiana. All’interno di un concerto di Bruce Springsteen il tempo è sospeso, non c’è prima, né dopo. C’è solo l’hic et nunc, il momento presente, ed è il momento assolutamente perfetto. Potrebbero portarti via la casa, il marito, il cane, la macchina, tutto quello che hai,  in quel momento, ma neanche te ne accorgeresti e anzi non potresti essere meno interessato alla questione. Sai solo che sei nel posto migliore del mondo, con la persona che più di ogni altra al mondo vorresti avere di fronte, e sei felice. Canti, balli, urli, ridi, piangi e sei felice: semplicemente e totalmente. Non c’è via di mezzo.IMG_2594-500x343

E se la funzione dell’artista è quella di parlare dell’umanità attraverso le storie di singoli individui, compito dell’arte è quello di suscitare emozioni e la musica di Springsteen, i suoi album, i suoi concerti live, in questo senso, sono la miglior opera d’arte contemporanea degli ultimi 40 anni. Molti non saranno d’accordo con me e contesteranno questa mia affermazione ma del resto, come diceva qualcuno molto più autorevole di me, il mondo si divide tra chi ama Bruce Springsteen e chi non lo ha mai visto dal vivo…

 

 

La foto in evidenza è di Stefan M. Prager (scattata a Monaco), quella nell’articolo di Jon Dardis (Dublino), entrambe sono tratte dal sito ufficiale www.brucespringsteen.net

Patrizia De Rossi è nata a Roma dove vive e lavora come giornalista, autrice e conduttrice di programmi radiofonici. Laureata in Letteratura Nord-Americana con la tesi La Poesia di Bruce Springsteen, nel 2014 ha pubblicato Bruce Springsteen e le donne. She’s the one (Imprimatur Editore), un libro sulle figure femminili nelle canzoni del Boss. Ha lavorato a Rai Stereo Notte, Radio M100, Radio Città Futura, Enel Radio. Tra i libri pubblicati “Ben Harper, Arriverà una luce” (Nuovi Equilibri, 2005, scritto in collaborazione con Ermanno Labianca), ”Gianna Nannini, Fiore di Ninfea” (Arcana), ”Autostop Generation" (Ultra Edizioni) e ben tre su Luciano Ligabue: “Certe notti sogno Elvis” (Giorgio Lucas Editore, 1995), “Quante cose che non sai di me – Le 7 anime di Ligabue” (Arcana, 2011) e il nuovissimo “ReStart” (Diarkos) uscito l’11 maggio 2020 in occasione del trentennale dell’uscita del primo omonimo album di Ligabue e di una carriera assolutamente straordinaria. Dal 2006 è direttore responsabile di Hitmania Magazine, periodico di musica spettacolo e culture giovanili.

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