Toxic Jungle. Una mano dallo sciamano

Una discesa psichedelica, oggi, nel cuore delle tenebre del rock di ieri

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Toxic Jungle
di Gianfranco Quattrini
con Robertino Granados, Manuel Fanego, Emiliano Carrazzone, Camila Perissé, Santiago Pedrero
Voto 7

Il “cuore di tenebre” di Gianfranco Quattrini (di origini italiane, cresciuto cinematograficamente in Nord e Sudamerica) con tanto di lenta discesa sul fiume che entra nella giungla amazzonica peruviana, è per molti aspetti originale: intanto perché parla di rock psichedelico sudamericano di tempi in cui sembrava che solo i rocker e gli sballati europei e nordamericani andassero in cerca di curanderos e di sostanze psicotrope. Qui una sfracellata gloria della psichedelia argentina, Federico, detto Diamon(d), uno dei due fatelli Santoro, pionieri dell’abbinamento musica/sostanze da sciamani (e no), scende nell’Amazzonia alla ricerca del curandero da cui voleva andare il fratello morto anni prima, dopo una lite, per overdose e annegamento. Molto da archeologia del rock. Ma è una discesa da vecchio, troppi anni e troppi rimorsi dopo, quando i corpi giovani, i capelli lunghi, gli amori di gruppo e la ricerca attraverso la droga sembrano allucinazioni a cui non credono più neppure i diretti interessati. Oggi è un mondo di cartelli narcos, morti stupide, strani ospedali italiani nel niente,  battelli che qualche menagrano ha battezzato “Titanic VII”. Il senso della traversata nel cuore della “giungla tossica” è ritrovare il curandero, e la cura, l’ayahuasca (la pianta che contiene la stessa sostanza che secerne il cervello per sognare) per disintossicarsi e vomitare i sensi di colpa, e far coincidere il passato con il presente e la giovinezza con la vecchiaia. In realtà è una discesa di conciliazione con la morte. Strana, “straniera” e bella, anche dolorosa.

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