The Legend of Tarzan. Contro cuore di tenebra

Reboot eco, post e politicamente corretto del personaggio di E. R. Burroughs

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The Legend of Tarzan
di David Yates
con Alexander Skarsgård, Samuel L. Jackson, Christoph Waltz, Margot Robbie, Djimon Hounsou.
Voto 6

Re Leopoldo del Belgio usa la schiavitù per arricchirsi col Congo. E deve soldi all’Inghilterra. L’inghilterra per riavere i suoi soldi chiede a Lord Greystoke, cioè Tarzan (Skarsgaard) già divenuto baronetto, di tornare nella foresta per aiutare la patria. Anzi, può fare di più: aiutare un emissario del governo americano (Jackson) a combattere la schiavitù. In realtà è una trappola tirata da un cattivissimo e azzimato schiavista belga (Waltz) per vendere Tarzan in cambio di diamanti. Questo è postmoderno allo stato puro: Tarzan contro Kurtz di Cuore di tenebra aiutato dal Django di Tarantino. Ne consegue che il rapporto tra Tarzan, i nativi, le scimmie, le liane, gli animali e Jane è rivissuto in flashback fino allo scontro finale che prevede un uso innaturale degli effetti speciali e uno altrettanto innaturale del politicamente corretto (Jackson nella giungla dove tutto mangia tutto si rammarica di quello che gli Usa hanno fatto agli indiani d’America!). È cinema di riferimenti attorcigliati: Waltz per parlare di Tarzan usa termini hollywoodiani per sfotterlo (“Me Tarzan te Jane e cose così”) mentre quando Tarzan lancia l’urlo sembra il tirannosauro di Jurassic Park. È la riscrittura-reebot del personaggio di Edgar Rice Burroughs alla maniera dei rilanci di Batman, Superman, Star Trek, eccetera, fatta da un regista di Harry Potter. Però, sotto gli effetti, poco.

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