Eugenio Finardi: il suo Sugo, 40 anni dopo, diventa sempre più gustoso

L’artista lombardo si racconta in esclusiva durante una tappa del tour per festeggiare gli otto lustri dell’album che aveva lanciato la sua carriera. Il 4 novembre prossimo, al teatro Dal Verme di Milano, andrà in scena l’attesa reunion con i protagonisti delle sedute originali in sala di registrazione dalle quali uscì anche Musica ribelle

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Foto di Daniele Benvenuti

“Certo che mi diverto ancora sul palco, oggi più che mai! Ed è proprio per questo motivo che, ad andare in pensione, non ci penso proprio. Anche perché potrei fare il pensionato solo per dedicarmi a quello che più desidero ma, siccome già faccio ciò che voglio, a quel punto non saprei più cosa fare…”.

Semplice, no? Eugenio Finardi, prima ancora del “chi è di scena” per l’ennesima data di piazza gremita da almeno tre generazioni di fan (nel caso specifico, sabato sera, a Monfalcone), si carica genuinamente e serenamente da solo, circondato dalla sua band, pensando più al futuro che al passato.

Foto di Daniele Benvenuti
Foto di Daniele Benvenuti

Coda di cavallo che pare una nuvola di zucchero filato, pizzetto candido da nonno buono, sguardo vivace e furbacchione da personaggio di Hanna & Barbera, ben calzato in testa un Borsalino da “paisà” trafficone espatriato in località caraibica a gestire chissà quali “affari”, giacca sahariana extra large con tanto di pashmina da illuminato creativo che, abbinati con nonchalance, fanno tanto Diego Abatantuono in un ipotetico remake di Marrachech Express.

Ritrovo Eugenio, disponibile e cordiale come sempre, informale e diretto, a distanza di 25 anni esatti. Interlocutore ideale, allora, per aiutare un ancor giovane cronista a togliersi qualsiasi forma di timore reverenziale e di genuflessione psicologica davanti a un personaggio famoso (sentimenti da piccoli fan con il taccuino o zerbini con il microfono in mano…); controparte preziosa, anche e ancora di più, oggi più che mai, nel confermare che gli artisti di spessore molto spesso sono anche individui umilmente garbati e sinceramente confidenziali.

Il tour per festeggiare le quaranta primavere di Musica ribelle è ormai agli sgoccioli: gli otto lustri di vita dell’album Sugo, dieci brani targati Cramps e datati ovviamente 1976 con i loro 38’29” di durata complessiva, hanno già ottenuto ampia consacrazione in tutta la penisola dopo oltre quaranta date che rivaleggiano con le cento abbondanti in due anni del precedente e altrettanto roccioso Fibrillante Tour. Ora, per consacrare definitivamente quello che viene considerato “uno dei 100 album italiani più importante di sempre”, manca solo l’apice della piramide previsto per il 4 novembre al teatro Dal Verme di Milano, quando andrà in scena la reunion con numerosi protagonisti di quelle sedute in sala di registrazione che all’epoca avevano visto impegnati, tra gli altri, anche Walter Calloni e Lucio Fabbri (già con la Pfm), Alberto Camerini, Patrizio Fariselli, Paolo Tofani e Ares Tavolazzi (ex Area).

Foto di Daniele Benvenuti
Foto di Daniele Benvenuti

E che nessuno si azzardi a parlare dell’ennesima “operazione nostalgia” (benché ideata grazie al ritrovamento dei nastri originali dell’epoca) in un panorama che, oggidì, sembra vivere soprattutto di triste “necrofilia musicale” con artisti e band che non producono nulla di interessante da decenni e girano comunque in lungo e in largo come malinconici tribute act di loro stessi, quasi fossero moderni juke box a disposizione del primo gettone lanciato dalla platea. Finardi, come detto, è invece proiettato in avanti e lo dimostrano non solo le tre recenti e affollate “trasferte” nei più prestigiosi teatri di Shanghai, Hefei e Pechino ma, anche e soprattutto, due ribalte prestigiose che lo hanno visto assoluto protagonista nei giorni scorsi. Prima al Lido di Venezia in occasione della 73. Mostra d’arte internazionale cinematografica, dove è stato presentato il docu-film Our war per il quale Eugenio ha composto e interpretato il brano principale della colonna sonora; e, immediatamente dopo, anche alla FIM – Fiera Internazionale della Musica di Erba dove ha ricevuto anche il “FIM Award alla Carriera”.

“Ecco perché ti ho detto che continuo a divertirmi tantissimo e che questo fatto mi regala energie rinnovate. Siamo sempre in movimento e sempre pronti a suonare per chi desidera ascoltarci. Dopo la parentesi in Cina – aggiunge – mi piacerebbe davvero potermi esibire in Giappone – dove, ovviamente, Le ragazze di Osaka potrebbero spopolare…, n.d.g. – La parentesi veneziana è stata per me piuttosto interessante: una pellicola impegnata su un tema delicato e un genere d’arte che mi piace molto. Certo, ha vinto una pellicola che non andrò mai a vedere ma, proprio come a San Remo dove non ho mai avuto fortuna, l’esperienza andava fatta”. Per quanto riguarda il premio, invece, più che per l’ennesimo riconoscimento, da autentico “guru” del cantautorato indipendente Finardi gioisce piuttosto per il “contesto” specifico che lo ha assegnato a lui. “Già, proprio quelli che si fanno in quattro per esprimere il loro talento, contro tutto e contro tutti: gli spiriti liberi. Autentici eroi in un contesto che, proprio come nel campo dell’editoria, vede attualmente una massiccia produzione che si scontra, purtroppo, con una limitata fruizione”.

Tra un ricordo rigorosamente territoriale (“Da bimbo avevo una tata di Palmanova, quasi una seconda mamma che oggi è ancora con noi. Mi portava spesso ad Aquileia, Grado e Trieste dove, piccolino, ricordo una bora terribile che mi dava la sensazione di volare via…”) e una considerazione generale legata a Musica ribelle (“Anch’io, per un periodo, ne sono rimasto saturo e quasi non avevo più voglia di cantarla. Un po’ come accaduto a Baglioni con Questo piccolo grande amore o a Fossati con La mia banda suona il rock. Ma poi mi è ritornata una grandissima passione, anche in considerazione del periodo storico che la rende più attuale che mai. Oggi il mondo è diverso, ma io mi accorgo con sollievo che il mio spirito è lo stesso di allora. Intorno sento tante persone mosse dalla mia stessa volontà di ribellarsi: alle ingiustizie, al destino, alla sfortuna, alle brutture, alla noia e ai giochi di potere. La ribellione è un atto di civiltà che si compie nella vita quotidiana: è un moto della coscienza!”), si vola nei territori del blues e dell’approccio giusto al mercato internazionale che, per un bilingue come Finardi, potrebbe riaprire nuove strade (“La black music è stata il mio primo grande amore. Figlio di una cantante lirica del New Jersey e di un tecnico del suono lombardo fin da bambino padroneggiavo perfettamente tre lingue. Adesso sarebbe un grande vantaggio artistico, grazie a un mercato così aperto e ricco di opportunità estere. Tuttavia, pur avendolo sfruttato poco, l’inglese mi è sempre stato utilissimo per aiutarmi nell’espressività emotiva in italiano”.

Generoso in fatto di parole e ricordi nel backstage, Eugenio Finardi si rivela ancor più munifico in quanto ad aneddoti e sfiziose curiosità durante il concerto. Una prima parte dello show a cavalcare tra decenni di carriera e 19 album in studio, una seconda ovviamente incentrata sull’intera set list di Sugo (benché, in questo caso specifico, non eseguito in maniera integrale e, soprattutto, offerto con la “sequenza dei brani al contrario”…) e qualche altro immancabile classicone per raggiungere due ore e dieci esatti di show, bis compresi per una scaletta leggermente modificata rispetto quella prevista. Gli arrangiamenti sono quelli originali degli anni Settanta, spesso assai rocciosi e ben poco “cantautorali” in senso stretto. La band è giovane e duttile, basata su una sezione ritmica eccellente e vigorosa (il basso di Marco Lamagna e la batteria di Claudio Arfinengo) con la tastiera prog lifestyle di Paolo Gambino e le estrose sei corde di Giovanni Maggiore ad alzare il tasso di epicità hard del progetto, al quale si aggiunge nella seconda parte anche la chitarra di Daniele Giordano. Finardi rinuncia ai tasti bianchi e neri e si limita a spaziare tra chitarra acustica, elettrica, basso e persino mandolino. Ogni tanto arretra e si siede davanti alla batteria quasi come un regista che concede agli attori l’intera ribalta ma, al tempo stesso, li controlla con severità. Le introduzioni sono gustose e così si scopre che, tra Le ragazze di Osaka e Diesel, tra Come Savonarola e Nuovo umanesimo, Dolce Italia era stata composta, ancora giovanissimo, durante un rigido inverno a Boston. Un uomo era stata invece una miracolosa ispirazione notturna (“Quasi una possessione”), Oltre gli anelli di Saturno esprime invece il suo amore per le stelle e i pianeti. Il cuore, inoltre, sarà anche tutto per Patrizia (“Difficilmente ho scritto canzoni d’amore, le mie sono piuttosto riflessioni sull’amore”), ma l’anima e la rabbia servono per l’apocalittica Cadere Sognare che si guadagna una standing ovation dopo un lungo intro dedicato al dramma di un disoccupato sardo. La heavy version di Hey Joe, inoltre, è l’unica concessione a una cover: Finardi (“Il brano che a 14 anni mi fece innamorare del rock”), per semplicità, la attribuisce a Jimi Hendrix, ma sono certo che conosca bene la faccenduola legata alla spigolosa paternità combattuta tra Billy Roberts e Dino Valenti.

La voce ruggisce anche meglio di un tempo, forse meno limpida ma assai più potente e ruvida. Tiene bene alla distanza e, anzi, come un diesel si dilata e trova sempre nuove sfumature da cogliere. Un po’ Roy Harper, un po’ Joe Cocker; un pizzico di Willie Nelson e uno di Kris Kristofferson, tanto per restare in tema di “out low”. E, quando arriva il momento del giro di boa e di “tociar” (“intingere”, n.d.g.) finalmente il pane nel Sugo, non si fa pregare. Ricordando anche che La CIA era stata scritta a ora di pranzo in trattoria e che l’album intero, con i suoi introiti mai incassati, era invece servito a finanziare tutte le altre produzioni ben poco commerciabili della Cramps. E che, quando alla fine andava a battere cassa da Gianni Sassi, inevitabilmente si sentiva rispondere: “Sarai mica diventato borghese?”. Quindi, se ne andava regolarmente con le tasche vuote per evitare l’epiteto, allora intollerabile nell’ambito di quel “collettivo”, per poi vendicarsi sarcasticamente con Voglio (guarda caso, lato B del singolo Soldi…). Ben poco cantastorie, per nulla noioso borbottatore stonato da università occupata, spietato songwriter e acuto compositore, oggidì Finardi è anche e soprattutto un autentico band leader. La radio arriva quasi in versione country & western, per l’attesa Musica ribelle (“Primo esempio di combat rock in Italia: la eseguii per la prima volta durante il concerto pomeridiano al PalaLido di Milano che apriva il primo tour di Fabrizio De Andrè, affiancato dai New Trolls per Storia di un impiegato”) sfodera addirittura un mandolino elettrico. I bis, infine, sono tutti per Extraterrestre e una versione quasi sciamanica di Amore diverso con tanto di finta cornamusa in sottofondo e richiamo vocale zulu doo-wop a The lion sleeps tonight, retaggio degli anni di Solomon Linda e poi di Hank Medress.

Vogliate gradire!

Foto di Daniele Benvenuti
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