La sua vita è stata avventurosa fin dai primi istanti: era nata su un marciapiede di Parigi ed era cresciuta in un bordello. Eppure è riuscita a diventare un mito immortale: certe sue canzoni, a cominciare da La vie en rose, continuano a essere nelle orecchie di tutti. Registrata all’anagrafe come Édith Giovanna Gassion, assunse il nome d’arte di Édith Piaf (che in argot significa “passerotto”).
Per chi volesse conoscerla meglio, consiglio la bella biografia di David Lelait-Helo (pubblicata nel 2013 per la collana Le Comete delle Edizioni Lindau), che scava a fondo nella storia di questa straordinaria cantante, morta a soli 47 anni il 10 ottobre 1963. Il libro chiarisce anche il mistero della morte, infatti a volte troverete la data del giorno successivo, cioè l’11. Édith in effetti morì a Grasse il 10, ma il suo desiderio era morire a Parigi, così nella notte l’ultimo marito la riporta nella capitale dove, la mattina dell’11 ottobre, viene annunciata la sua scomparsa.
Dalle strade di Parigi, alle bettole, ai postriboli, ai locali più eleganti ed esclusivi del mondo: la sua è stata una vita straordinariamente ricca e feconda. È stata la musa ispiratrice di moltissimi compositori, compositrice essa stessa, scopritrice di numerosi giovani talenti (per citarne alcuni, Yves Montand, Charles Aznavour, Eddie Constantine), attrice di cinema e teatro.
Una carriera folgorante e una vita consumata tra eccessi, alcol e droghe, povertà estrema e ricchezza sperperata, amicizie (tra tutte quella fraterna con Marlene Dietrich) e amori vissuti senza risparmio, lutti (la figlia morta ad appena due anni; il suo amore più grande vittima di un incidente aereo; il suo primo impresario assassinato in circostanze misteriose…) dolori, sofferenze, tre incidenti d’auto, la malattia che l’ha consumata; un carattere difficile, passionale, dispotico, generoso; due mariti, moltissimi gli amanti e gli amori travolgenti, Édith non poteva star sola ed era felice solo quando era innamorata.
Morì dilaniata dal cancro, dalla cirrosi, con fegato e pancreas spappolati. Per l’ultimo concerto, all’Olympia (autunno 1962) si presentò sul palco con i capelli arancione che lasciavano scoperte ampie zone calve. Era in pantofole e si muoveva a fatica a causa dell’artrite. Eppure cantò fino all’ultimo Non, je ne regrette rien… (“No, non rimpiango nulla”).
Alcuni contenuti o funzionalità non sono disponibili senza il tuo consenso all’utilizzo dei cookie!
Per poter visualizzare questo contenuto fornito da Google Youtube abilita i cookie: Clicca qui per aprire le tue preferenze sui cookie.