Van Morrison e Jeff Beck, show londinese senza seconde chances

Il genio irlandese e lo storico chitarrista inglese si divideranno la serata conclusiva del Blues Fest in programma dal 28 al 30 ottobre sul palco della futuristica The O2 di North Greenwich. Entrambi reduci da prove discografiche, straordinaria quella di Morrison e pasticciata quella di Beck, appare ben difficile calcolare le probabilità in merito a uno storico duetto finale

0

Van Morrison o Jeff Beck? Jeff Beck o Van Morrison? Sir George Ivan il terribile o El Becko virtuoso fuori controllo?

A Londra, onde evitare mugugni e scelte difficili (meglio il papà o la mamma? Più forte Cuccureddu o Spinosi? Più buona la pizza o la parmigiana? Margarita on the rocks o frozen?) hanno tagliato la testa al toro: tutti e due! Così, il 30 ottobre prossimo, il genio irlandese e il chitarrista di Sutton costituiranno il “gran finale” dell’ormai tradizionale Blues Fest in programma da venerdì 28 (evento di punta l’ormai esauritissimo Bill Wyman’s 80th Birthday Gala) a domenica 30 (in programma, in siti alternativi, anche Walter Trout e The Strypes) con un centrale “saturday night all right (for fighting)” riservato in ordine cronologico a Bad Company, Richie Sambora e, solo a poche decine di metri di distanza, al ritorno di Little Steven con i suoi Disciples of Soul (vedi servizio specifico https://www.spettakolo.it/2016/10/15/little-steven-riunisce-disciples-of-soul-25-anni-torna-band-leader-londra-sera/).

Alla mastodontica O2 Arena (nome sponsorizzato della North Greenwich Arena), situata all’interno dell’immenso e futuristico salone espositivo The O2 che contiene ben 14 aree tematiche e, tra negozi e ristoranti, anche il futuristico ma carente assai British Music Experience, sono attesi circa 16mila spettatori. E Greenwich si prepara dunque ad affrontare l’abituale e festosa invasione di appassionati per un evento che inizierà alle 19, orario d’inizio standard delle serate Oltremanica, soprattutto nelle venue più importanti e imponenti. Soltanto qualche mugugno da parte dei fruitori che, soprattutto dall’estero, da mesi hanno dovuto accontentarsi di poltroncine non sempre in posizione ottimale e neppure a buon prezzo passando attraverso il sito ufficiale della struttura, mentre altri posti ben più accattivanti (a parità di settori, ma non certo  di posizione…) sono rimasti a lungo disponibili sul sito di Van Morrison al doppio delle sterline.

Nel giro di pochi giorni, comunque, lo scorbutico geniaccio di Belfast si ritroverà a dividere la serata (ma non certo l’ingaggio…) non più con un sobrio e concorrenziale compagno di viaggio come Tom Jones insieme al quale, proprio ieri sera al SF Jazz Center di San Francisco, ha messo a segno l’ennesimo “sold out” e offerto il consueto show di altissimo livello, come appurato anche l’estate appena archiviata dal pubblico del Lucca Summer Festival. Il nuovo e occasionale “partner” (non segnalate a Van questa frase, sarebbe capace di andarsene in anticipo dal palco in segno di protesta…) è un autentico personaggio seminale della chitarra britannica e mondiale come l’ex Yardbirds, quasi alter ego di Jimmy Page e già leader del J.B. Group, qualcosa in più di un primus inter pares persino rispetto elementi del calibro di Rod Stewart, Ronnie Wood e Nicky Hopkins. Inutile dilungarsi su di lui e, per chi colpevolmente cadesse dalle nuvole, rimando al dettagliatissimo volume I 4 cavalieri dell’Apocalisse che il decano della critica (realmente) specializzata italiana, Max Stefani, ha recentemente dedicato a Beck, Page, Eric Clapton e Peter Green che avevano fatto piazza pulita ogniddove tra il 1960 e il 1970.

Morrison, dunque, non avrà più come collega, seppur ben separato a livello di show, un pacato e troppo spesso altalenante intrattenitore dal vocione unico e l’animo del crooner come Thomas Jones Woodward di Pontytridd (altro Sir, uno da trenta album, ma non sempre all’altezza del suo talento con evitabili deragliamenti dance e pop da intrattenitore di Las Vegas e cinque anni in più sul groppone, assai meglio portati, rispetto Morrison…), ma una partnership che si esaurirà in una sola serata con il quasi coetaneo Geoffrey Arnold Beck che, vizietti e aiuti del maquillage a parte, sembra anche lui passarsela molto meglio dell’irascibile irlandese. Ma soltanto sotto l’aspetto puramente estetico perché, stando alle ultime e recentissime uscite discografiche, l’iper prolifico (talvolta fin ai limiti dell’autolesionismo) e incontentabile Van Morrison ha pubblicato un album straordinario come Keep me singing, mentre Beck si è accontentato del pasticciatissimo e ben più modesto Loud hailer. Ma, si sa, entrambi, pur con caratteristiche diverse, sono animali da palcoscenico e la versione “live” può regalare ulteriori picchi a quello che probabilmente è il lavoro più ispirato di Morrison nell’arco degli ultimi quindici anni, regalando al tempo stesso ampi spazi di manovra al carismatico chitarrista per valorizzare meglio la sua produzione più recente. Neppure sei mesi di vita, inoltre, per il sontuoso box live dell’irlandese “…It’s too late to stop now” (volumi II, III, IV & DVD) che, completando l’omonimo e storico live del 1974 con la Caledonia Soul Orchestra, registrato in tre diverse locations durante il tour dell’anno precedente, potrebbe costituire per molti appassionati di soul e r’n’b contaminato con jazz, swing e folk irlandese una sorta di cadeau da isola deserta.

Ma se le collaborazioni dell’uomo Fender, in studio e live, sono state innumerevoli, Morrison ha sempre preferito “contaminarsi” maggiormente su album anche se, partendo dalla sua partecipazione epocale a The last waltz (concerto d’addio della Band, diventato album triplo e anche film di Martin Scorsese), non si è certo fatto mancare precedenti di serate o tour a due come quelle con Elvis Costello o l’improbabile binomio con Bob Dylan dell’estate 1998 (a Bologna si ignorarono sotto un acquazzone, ma a Milano arrivò persino il duetto impossibile tra “quello che non saluta” e “quello che non ringrazia”…), senza dimenticare quell’indimenticabile periplo di fine anni Ottanta con i già anziani Chieftains per promuovere l’indimenticabile svolta gaelica di Irish heartbeat.

Solo domenica 30, inoltre, sarà possibile sapere se ci saranno auspicabili “contaminazioni” tra i due set e se Beck, che aprirà la serata, ritornerà poi sul palco anche in un auspicabile gran finale con Sir Morrison che, non pago di essere uno degli artisti più influenti degli ultimi 40 anni (da Bruce Springsteen e Tom Petty fino a U2, Nick Cave e Bob Seger, nonché più recentemente Jeff Buckey e Damien Rice: Lui, peraltro, è l’autore della G.l.o.r.i.a. di Doors e Patti Smith, nonché della Moondance di Michael Boublè e della Brown eyed girl di Jimmy Buffett) e di aver concupito le donne più belle d’Irlanda, sembra essersi addolcito un pochino solo dopo essere stato nominato baronetto, a quasi 70 anni, dalla regina Elisabetta II. Proprio come Elton John, Paul McCartney e Mick Jagger.

Inutile rivangare negli straordinari cv di queste due pietre miliari. Come è anche inutile sfrucugliare sul caratteraccio di Sir Ivan (averlo visto inginocchiato e quasi ossequioso davanti a uno spadino, pronto a ricevere l’onorificenza, ha avuto del clamoroso) come della scostanza e dell’altalenanza dell’altro.

Davanti a due geni, c’è poco da aggiungere. Se non, magari, che l’unico ad aver realmente motivo di essere davvero incazzato è proprio Beck visto che non andò a Woodstock praticamente in extremis giacchè, reduce da un alienante tour Usa con gli Yardbirds e in piena paranoia “artificiale”, il riconosciuto babbo dell’heavy metal rientrò precipitosamente in patria convinto, parrebbe persino a torto, che la moglie lo tradisse con il giardiniere….

Vogliate gradire! 30-2-van

Foto di Kazuyo Horie
Foto di Kazuyo Horie

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci qui il tuo nome