American Pastoral. La caduta di un sogno

Un uomo buono nell'America post Kennedy colpito come Giobbe

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American Pastoral
di Ewan McGregor
con Ewan McGregor, Jennifer Connelly, Dakota Fanning, David Strathairn
Voto 6+

Levov “Lo Svedese”, agli occhi di Nathan Zuckerman (l’alter ego che narra  i romanzi di Philip Roth) aveva avuto  tutto dalla vita. Era il ragazzo ebreo più bello, biondo e atletico (McGregor), aveva sposato la bella reginetta della scuola (Connelly), aveva una piccola fabbrica di guanti ed era un uomo giusto e onesto. Perché Dio, dopo avergli dato tanto, lo colpì così duramente? Perché nell’America del vietnam, della tragedia kennediana e delle battaglie civili gli toccò una figlia (Fanning) balbuziente, insicura, morbosamente innamorata del padre e in profondo dissidio con la madre (c’è un motivo che al film sfugge?), poi ipercritica, arrogante fino all’insulto, aggressiva, fanatica, terrorista fino all’assassinio e infine in clandestinità, fantasma  che sfiora i gironi più oscuri e mistici dell’autolesionismo? Il tema era difficile fin dal libro di Roth, una sorta di requiem del sogno americano attraverso la struttura tipica dei suoi romanzi: qualcuno racconta a Zuckerman una vita in qualche modo intrecciata alla sua e un pezzo di storia americana. L’opera prima da regista di McGregor (che si prende in carico anche l’interpretazione dello sfortunatissimo “Svedese”) è ambiziosa, e speculare al destino del suo eroe colpito dall’alto: aveva tutto per essere un buon film tratto da un buon romanzo ed è uscita incompleta. Onore al tentativo.

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