Maximilian Tour, cala il sipario sul Palalottomatica (recensione e photogallery)

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Il destino a volte è veramente imprevedibile: a volte si rivela gentile, a volte beffardo e a volte sadico.
Ma non importa quale sfaccettatura voglia offrirti, tutte hanno un punto in comune: una teatralità sottile e disarmante che lascia allibiti il più delle volte.
Il mio viaggio attraverso la musica ha toccato diverse tappe, ma raramente è passato per l’Italia, motivo per il quale sono spesso stato tacciato di esterofilia; poi all’improvviso BAM mi ritrovo accreditato al concerto di Max Gazzè.
Ed è il primo concerto su cui scriverò: forse il tutto ha un suo senso.
Anzi, senza dubbio ha senso.
Mentre mi districo tra una folla non impenetrabile, ma comunque discretamente dura da affrontare, mi rendo conto dell’unicità di certi artisti: tra donne attempate e ragazze, gente che è appena uscita da lavoro e capigliature uscite da San Junipero, mi sorprendo a immaginare “l’armadio” a poche teste da me, con la giacca da Biker, nell’atto di piangere come una ragazzina sulle note di Mentre dormi.
Cosa che non escludo potrei fare io. Anzi, è molto probabile.
Partenza a razzo con La favola D’Adamo ed Eva che ci catapulta già nel mondo di Max dove il suo basso fa da guida, mentre suoni e luci danno quel tocco di psichedelia nostalgica tipica del suo sound.
Perché effettivamente le sue canzoni, i suoi concerti, sono il punto d’incontro tra il cantautorato e la sperimentazione! Tra il cinema italiano e gli sci-fi anni ’70 che richiamano alla mente Ufo e improbabili effetti speciali in grado di far viaggiare più con la fantasia che con gli occhi. Stiamo essenzialmente parlando dell’equivalente di una carbonara consumata sul ponte panoramico dell’Enterprise!
Chiedo scusa per la metafora indecente, ma vista l’ora e vista l’euforia forse sto un po’ leso.
Anzi, è molto probabile.

Il concerto procede con estratti di Maximilian come mille altre volte e grandi classici, con un feedback sonoro del pubblico degno delle grandi occasioni, cosa non così imprevedibile visto che questo live sancisce il fatto che il Maximilian tour stia giungendo alla fine. Dopo quasi un anno e tappe d’eccellenza tra cui Giappone e Canada, il cantante torna finalmente per dimostrarsi definitivamente il padrone della festa.
Eccome se lo è: il Palalottomatica trema e si scatena su pezzi come Sotto casa, si riscopre (come se fosse una novità) nostalgico con Il solito sesso, iniziato in acustica per poi degenerare in un folk apocalittico (Gazzè Dixit).
Plebiscito più che scontato durante una Mentre dormi indimenticabile che mi ha immancabilmente fatto perdere la voce, trovo che la perfezione racchiusa in quel “sopra il monte più alto del mondo a guardare i tuoi sogni arrivare leggeri” sfoci nell’irrazionale di una bellezza inspiegabile ma palese.
Mi giro ogni tanto per vedere le reazione del sample di spettatori che ho accanto: si conferma estremamente variegato e “iperfomentato” ad ogni singola nota, cantando a squarciagola e dimenandosi.
Gli ospiti che l’artista ci ha presentato negli anni ci sono tutti: da Gianni Sergente appollaiato su un ciliegio esterno al Timido ubriaco, dall’Uomo più furbo al testimone “sotto casa” e così via, si raccontano le storie e si incantano i presenti.
L’accompagnamento musicale poi ce lo forniscono Dedo con i suoi strumenti a fiato, Giorgio Baldi alla chitarra, Cristiano Micalizzi alla batteria e Clemente Ferrari addetto ad ogni cosa abbia tasti bianchi e neri (urge però citare un piccolo intervento di Ramón, vecchia conoscenza per chi ha seguito in concerto la parentesi musicale del trio Fabi-Silvestri-Gazzè ).
Verso la fine ci attende una carrellata nostalgica a tema 1996 dove le scene di Trainspotting cedono il passo a un videomessaggio di Bin Laden e alla premiazione di Miss Italia fissando un punto preciso nella linea del tempo posizionato esattamente 20 anni fa.
1996: L’uscita di Contro un’onda del mare, il suo primo album.
Ed è da brividi ciò che Una musica può fare e ce lo dimostra appunto chiudendoci la serata, così, niente encore, niente bis.
Non serve, non servirebbe, lo vorremmo, vorremmo continuasse ancora un po’ ma è tutto perfetto così, nulla rimane sospeso.
Dopo il saluto al SUO pubblico, Max lascia il palco e tutti torniamo ad essere quel pubblico sparpagliato e definito di nicchia che però fa sold-out, quel pubblico minore che non riempirà mai l’Olimpico ma è fedele ad un artista che riesce a chiamare a sé gente di ogni sorta.
Che se mi avessero detto “il primo concerto per cui ti accrediterai sarà quello di Gazzè” cinque o sei anni fa, beh, gli avrei riso in faccia!
È grazie a lui o, meglio, grazie ad un concerto a cui sono stato trascinato a forza sul cui palco si esibiva insieme a Daniele Silvestri e Niccolò Fabi che ho iniziato ad avvicinarmi alla musica italiana.
Ed è proprio con loro che mi avvicino a scrivere veramente.
Grazie.
Hai capito, il destino?
Lascio la sala mentre un gruppetto nutrito ma male assortito continua a cantare incessantemente IL verso di Cara Valentina.
E l’avrò ripetuto più volte, è vero, ma non è vero che poi mi dilungo spesso su un solo argomento.
E per esempio non è vero che poi mi dilungo spesso su un solo argomento.
E per esempio non è vero che poi mi dilungo spesso su un solo argomento.

La photogallery a cura di Danilo D’Auria

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