Intervista a Tricarico: «Vorrei che la musica tornasse alla purezza dei tempi di Mina»

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Foto: Andrea Giovannetti

Nei giorni scorsi è uscito il suo nuovo album Da chi non te lo aspetti, di cui potete leggere la recensione qui, e noi ne abbiamo approfittato per scambiare quattro chiacchiere con Tricarico sui brani del nuovo album, su qualche curiosità dal passato, e su una teoria… decisamente particolare.
Buona lettura!

Com’è nata la collaborazione con Arisa per Una cantante di musica leggera?
La collaborazione con Arisa è nata da questa canzone che ho scritto con Gennaro Romano, per cui serviva qualcuno che rappresentasse una cantante di musica leggera, e lei in questo momento è la persona più bella, più intelligente, oltre che un’interprete eccezionale e capace di trasmettere emozioni. Per cui la collaborazione è nata dal fatto che era la persona più indicata per interpretare la cantante di musica leggera che io vorrei amare.

In Una cantante di musica leggera citi Mina (“tipo la Mazzini all’inizio della sua carriera”), mentre in La bolla tocca a Celentano (“chi non lavora l’amore non fa”). Come mai questi “omaggi”?
Perché dal mio punto di vista rappresentano gli elementi forse più alti della musica italiana come modo di scrivere, purezza di linguaggio, voglia di comunicare, e come importanza che aveva la musica. Non che io sia nostalgico, ma mi auguro che a breve torni ad averne, quindi che torni ad esserci la capacità di certe canzoni di essere semplici, comprensibili, come le grandi canzoni che cantava Mina, ad esempio Se telefonando, o come solo Celentano sapeva interpretarle. E spero che si torni a quello che rappresentava la canzone in quei tempi, in quel momento, dove c’era unione di grandi autori e grandi compositori che avevano delle cose da dire.
Io penso che adesso ci sia molta confusione nello scrivere testi, e me ne accorgo ascoltando la radio: la ascolto da semplice fruitore, ma non trovo mai una canzone con un testo che mi fa dire “cavolo, questa mattina ho ascoltato questa canzone e mi è arrivata questa cosa”. Vedo solo molta confusione, che probabilmente è semplicemente lo specchio dei nostri tempi, dove non si capisce nulla.
Quindi in questa citazione di Mina c’è la voglia di tornare ad un tempo d’oro della canzone italiana, come riconoscimento sociale, attenzione e cura, insomma di dare chiarezza di messaggi, semplicità e bellezza.

A giugno era uscito in digitale Da chi non te lo aspetti – prima parte, con alcune delle canzoni presenti in questo album più due tuoi successi (Io sono Francesco e Musica) in versione piano e voce. Come mai hai deciso di pubblicare solo le canzoni “nuove” invece di fare la “seconda parte” dell’album seguendo lo stesso schema?
Perché avevo molte canzoni nuove e non mi andava di inserire di nuovo pezzi già editi. Mi piaceva e mi piace che questo album sia composto da soli brani nuovi.
Diciamo che è come aprire una nuova porta, rappresenta un nuovo inizio che non ha riferimenti al passato.

Nei pezzi lenti dell’album c’è una certa continuità col tuo stile, mentre in quelli ritmati si nota una produzione diversa, con la ricerca di un suono più contemporaneo. E’ una scelta precisa?
Sì, è una scelta ben precisa e “pop”, ovvero di cercare di essere contemporanei, come suoni, come fruibilità, come ricerca di essere attuale.
Uno dei miei sogni è sempre stato quello di uscire dalla radio, di essere “pop”, di arrivare a più persone possibili, e per raggiungere questo scopo nella mia carriera ho sempre dato molto spazio ai vari produttori con cui ho lavorato, come arrangiamenti e produzione artistica dei brani, per quello che riguarda il “vestito” da dare alle canzoni.
In questo disco Lorenzo Vizzini e Iacopo Pinna, che sono due giovani molto in gamba, hanno dato dei vestiti attuali e questa cosa mi fa molto piacere, perché io delego molto e, dopo che la canzone è stata scritta, lascio che i produttori e i direttori artistici agiscano con la loro sapienza, quindi mi fa piacere che si senta questa loro attualità e questa consapevolezza di ciò che accade intorno.

Parliamo di Ciao. Ma alla fine la vita del quartiere ti piace o no?
La vita del quartiere mi piace nella sua ritualità, nella sua quotidianità, nel vedere sempre gli stessi visi, con cui scambiare le solite frasi di circostanza, che però sono rassicuranti. Penso sia una canzone umana, quotidiana, un po’ da fila alla posta o da caffè al bar, con frasi di circostanza, che però sono piacevoli e sono umane.
In generale mi piace il quartiere, la gente, la mia zona, Milano.
Mi piace chi si alza a fare il pane alle quattro.

Una curiosità su una canzone che presentasti a Sanremo qualche anno fa: Tre colori sembra essere molto al di fuori del tuo percorso artistico. Come mai scegliesti di cantarla e di portarla anche al Festival?
Infatti quella non è una canzone mia, ma una canzone che scrisse Fausto Mesolella.
In quel momento c’erano tutta una serie di circostanze che mi portarono a presentarla a Sanremo. Mi sembrava una bella canzone, e tutta una serie di coincidenze e di circostanze mi portarono a pensare che potesse essere interessante andare con quella canzone, molto distante comunque dal mio percorso. Ritornando indietro però non rifarei quella canzone e non la porterei a Sanremo.

Quando ci siamo incontrati l’ultima volta mi hai spiegato una tua teoria fantastica e geniale: ti va di raccontare al pubblico la teoria del lancio del dado e della connessione che ha con l’essere padrone della propria vita?
Raccontandola sinteticamente: una cosa che mi affascina è quanto noi possiamo condizionare il futuro e se l’immaginazione può cambiare o condizionare la realtà.
Per cui la teoria del dado non è altro che questo cercare di capire, immaginando di andare avanti nel tempo per 30 secondi, e quindi avere già lanciato il dado, nonché non sia ancora stato lanciato.
Io immagino di andare avanti nel tempo e vedere il dado fermo, dopo il lancio, quindi vedere il numero che è uscito; poi tornando al presente, lancio il dado e verifico se la scena che ho immaginato nel lancio mi ha fatto andare effettivamente avanti nel tempo oppure no. A volte succede che esca il numero che io ho immaginato o che ho visto andando avanti nel tempo.
Metti che tutte le volte esca il numero che vuoi potrebbe essere quasi spaventoso, talmente tanto che dici “allora devo stare attento a quello che penso”, perchè se pensi cose brutte, negative, queste accadono. Se invece pensi che non uscirà mai il numero che ti immagini, stai certo che non uscirà mai. Poi è anche vero che è difficile immaginare 6 numeri di fila come al SuperEnalotto.
Insomma, il dado è un gioco di magia, di alchimia.
Io penso che tutti noi siamo un po’ maghi, per questo la magia è un potere che mi piacerebbe riacquistare nella vita: il potere di far accadere le cose più meravigliose.

Se volete leggere un’altra interessante intevista a Tricarico realizzata qualche mese fa in occasione dell’uscita della “prima parte” dell’album, cliccate qui.

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