Nel mondo della musica ci sono i crediti ma spesso anche i debiti

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Walter Becker e Donald Fagen

Era il lontano 1972 e a Bologna, appena fuori dal centro, c’era il Bar Wolf che per primo aveva cominciato a servire grossi sandwiches fatti con pane in cassetta tostato. Le fette all’interno erano miracolosamente morbide ma leggermente croccanti e volutamente bruciacchiate fuori. Il contenuto era da favola: salumi, formaggi, carne, verdure e per chiudere senape, maionese e ketchup. Poi grandi porzioni di patatine fritte con abbondanti dosi di ketchup nel piatto. E, vera forza del locale, il titolare e il suo socio servivano birra alla spina di altissima qualità.
Frequentato anche dai molti americani che studiavano nella sede bolognese della John Hopkins University, Wolf era diventato per me e per tanti amici il locale di riferimento per la prima parte della notte. A quel tempo frequentavo ancora Scienze Politiche e per non gravare sui miei genitori avevo parte della giornata e della notte impegnata in vari lavori saltuari come facchino, fattorino, autista o cameriere. Trovavo comunque il tempo per andare al bar. Il posto piaceva, ci veniva anche Gabriele Ansaloni (diventato poi Red Ronnie) quando lavorava ancora in banca, perché oltre al cibo possedeva un juke-box pieno di canzoni americane e inglesi, la colonna sonora della mia vita. Allora nei juke-box c’erano i Led ZeppelinSteve MillerEaglesElton JohnDylan e tantissimi altri. Una sera mi imbattei in un brano nuovo e lo misi subito su: era Do it Again degli Steely Dan. Credo che nel mese che seguì il piccolo vinile si sia consumato per colpa mia. Ripresi anche la chitarra in mano per impararne gli accordi.
I miei anni Settanta passarono in modo avventuroso tra lavori improbabili, storie di donne di svariate tipologie, fughe, viaggi e un non eccessivamente approfondito studio della chitarra. Avevo altro per la testa. Cominciai a pensare che la mia vita doveva essere piena di musica e qui tornarono in gioco gli Steely Dan. Aja, uscito nel 1977 proprio quando muovevo i primi passi per inserirmi nel music-biz mi aprì la mente e formò in me un’embrione di professionalità. Quindi mollai tutto, avevo un locale poco raccomandabile in via del Pratello a Bologna, e mi trasferii a Roma, ospite di un’ex fidanzata, dove mi misi a studiare le percussioni col compianto Karl Potter.
Dopo cinque mesi tornai a Bologna dove  vivevo decentemente grazie alle cambiali che mi aveva firmato chi aveva comprato il locale. Tramite l’amico Maurizio Lolli, che divenne poi manager di Vasco Rossi, col quale avevamo formato un band di cover dei King Crimson e dei Pink Floyd, conobbi Maurizio Solieri e finii per registrare le mie congas in un suo progetto fusion. Poi per una serie di circostanze, ma non è questa la sede per raccontarle, mi ritrovai a suonare le percussioni dal vivo con Vasco e poi a lavorare sempre più spesso in sala d’incisione, quello che volevo unicamente e fortemente per me. Alla fine del 1980 uscì Gaucho e gli Steely Dan a quel punto non erano più solamente un gruppo che mi piaceva ma diventarono i miei maestri da seguire in tutto e per tutto. Aja e Gaucho non erano semplicemente degli album incredibili ma erano dei veri e propri master per addetti ai lavori tenuti, oltre che da Donald Fagen e Walter Breker, dal produttore Gary Katz e dal tecnico del suono Roger Nichols.
La storia di questa band, diventata presto un duo, la trovate in modo completo e anche abbastanza precisa in Rete, come  le recensioni e la descrizione dettagliata degli album. Quello che ho voluto raccontarvi è come li ho vissuti io e come devo a loro tanta parte del mio mestiere.

Le mie preferenze, ed è giusto che lo sappiate, vanno alla superhit Do it Again e ai full-length Pretzel LogicAja e Gaucho. Ma non si può dimenticare il capolavoro solista di Donald Fagen The Nightfly. 

Per la precisione il Bar Wolf in via Massarenti a Bologna esiste ancora ed è più vivo che mai. Si è ampliato ed è diventato un Pub dove si organizzano concerti.

Dalla fine degli anni cinquanta ascolta musica internazionale. Dalla fine degli anni settanta lavora in sala di incisione. A volte scrive canzoni. Collabora con Vasco Rossi da oltre 30 anni. Ha lavorato per Stadio, Skiantos, Gaznevada, Edoardo Bennato, Alberto Fortis, Marco Conidi, Steve Rogers Band, Clara & Blackcars e altri. Non è un talent scout. Non è un manager o un impresario. Negli U.S.A. e nel Regno Unito si direbbe producer. Deve tutto a Elvis, ai Rolling Stones, a Dylan, agli Steely Dan, ai Black Sabbath e a Phil Spector. Il 22 gennaio 2016 esce il suo primo album da solista: La mia legge.

4 COMMENTI

  1. Finalmente sono riuscito a registrami (è stata una fatica) :-)….Grande iniziativa e Grande blog, Finalmente si legge qualcosa di vero e di professionale (non come quelle recensioni di giornalisti che non conoscono la differenza tra La e sol )….Si inizia dalla persona e si passa tra i vari generi musicali /gruppi sentiti e strasentiti fino arrivare ai nuovi…al prog/darck ecc ecc…. Evolversi…ecco credo che questo potrebbe essere l’abbreviazione del Producer Guido Elmi,Non solo per la storia di Vasco (che merita tutto il rispetto…n1 in italia i fatti parlano da 30 anni)…Ma per la sua natura innovativa….cmq non voglio dilungarmi già sopra nelle sue “viste” musicali chi ha un minimo di passione musicale percepisce e percepirà…altrimenti resterà indietro…. Seguiro’ come un bambino che cerca la strada di casa questo blog….Complimenti anche se già la storia parla…….

  2. Mah… musica borghese ben riassunta dallo Scaruffi (ed è già un miracolo): Spesso fastidiosamente levigate, impostate attorno a melodie banali, decorate di piccoli interventi strumentali da pensionato del jazz, leggere fino alla trasparenza della muzak (per non parlare dei testi, un concentrato di presunzione letteraria), elastiche e gommose per essere digeribili da tutti, le canzoni degli Steely Dan rappresentano quanto di piu` deleterio il “re-alignment” degli anni ’70 abbia proposto, interpretano alla perfezione lo spirito qualunquista del borghese medio che anteponeva la “qualita` della vita” alle istanze rivoluzionarie. In pratica, rispolverarono l’easy-listening degli anni ’50 per la generazione del Watergate. Mutatis mutandis, era la stessa filosofia ed era lo stesso sound. Ma, in quel genere reazionario che porta a Michael Jackson e a Mariah Carey, furono davvero degli “artisti”, o quantomeno degli “autori”.

    • E’ un punto di vista corretto e che non mi sento di contestare. Io parlavo del debito professionale. Chi lavorava , o lavora, in sala d’incisione non può prescindere dagli album che Quincy Jones ha prodotto per il famigerato Michael Jackson, da Avalon dei Roxy Music, da Welcome to the Real Worlld dei Mr. Mister o dai lavori di produttori fondamentali come Phil Spector, Trevor Horn, Brian Eno e tanti altri … Poi i gusti personali anche per me sono altri: questa mattina riascoltavo Ornette Coleman e l’ultimo dei Kayo Dot per fare un esempio… I blog servono a questo: sentire tutte le campane…

      • Vero, quando la tecnica è una cosa separata dall’arte, d’accordissimo. In effetti così è – e persino il critico da me citato riconosce l’impeccabile registrazione dei dischi degli Steely Dan

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