Fai no con la testa, mentre sfiorandoti la fronte ti dico che cos’è serendipità.

In fondo lo sai, e quando te l’avrò detto capirai di sapere bene cos’è.

Sento le tue dita e sanno di ghiaccio, così i piedi, così la punta del naso. L’inverno si stira su di noi ma forse vuole conservarci, forse vorrebbe tramite me che il tuo tepore arrivasse fino in bocca al sole di aprile.

Se vuoi dormi, oppure ascolta: questa è la strana storia di chi scopre cose specialissime cercandone altre.

Dunque è così:

qualcuno impegnato in una ricerca, trova qualcosa di unico credendo di cercare intensamente qualcos’altro.

Il suo stupore è grande quando si accorge che ciò che ha trovato pensando sia avvenuto per caso, è invece esattamente ciò che stava cercando pur senza saperlo.

Senza sapere di saperlo.

Una vertigine profonda lo coglie, e in quel turbine sente di avere toccato un nervo del mondo.

Non può credere di non aver saputo sino a quel momento di stare cercando proprio quella certa cosa, perché ora, trovatala, si rende conto di colpo che senza di essa la sua vita non sarebbe la stessa, né avrebbe la stessa potenza.

Puoi seguirmi?

Ma tu muovi solo e lentamente  la testa verso il basso: le parole ti hanno abbandonato, evaporate con la luce che aspira a ritirarsi dietro i castagni, nell’umidità più blu.

Non è complicato. È solo intimo.

Come un piacere sconosciuto, che non appena viene a rivelarsi ti accorgi di averlo sempre avuto acquattato da qualche parte. Sì, lo conoscevi in fondo, lo intuivi con la parte più segreta di te, laddove le tue estremità interiori si bagnano nel senza fine.

Si trattava solo di scovarlo, giusto il tempo di gustarne la corrente, per poi perderlo nuovamente.

È qualcosa che se provi a dire a parole, come sto facendo io ora con te, queste si accartocciano e vanno in fumo ai tuoi piedi come veline date alle fiamme.

Probabilmente le cose irrinunciabili, le migliori della nostra vita, sono frutto di serendipità.

Questo termine indefinito ci viene dall’inglese, ma il fenomeno cui dà il nome è nella più totale intimità con noi. Avrebbe potuto essere stato coniato in aramaico, o bretone, senegalese o haitiano, in lingua islandese o della Thailandia, e non sarebbe cambiato il significato di ciò che viene a indicare. E come sempre accade, le parole sono troppa poca cosa rispetto al sentire.

Ma ora ascolta: senti questo silenzio che avanza.

Che cammina felpato attraverso lande così distanti da noi, eppure con qualche balzo inaspettato è subito qui e ci ammanta, ci fa cupola attorno alle teste, chiude gli orecchi e amplifica le coscienze, restituendoci a noi stessi. Di modo che noi si possa ricordare chi siamo, perché è così facile dimenticarlo.

E così che io possa dirti questa cosa indicibile sussurrando, ormai, sul tuo sonno gentile:

sappi che da qualche parte c’è qualcuno o qualcosa che appartiene veramente a te, e per appartenere non si può intendere essere cosa tua, ma molto di più, significa:

essere parte di te.

La miglior scienza è stata possibile grazie a schiere storiche di serendipità.

Ogni più sottile passo creativo è in quel regno.

Ma non si deve pensare che sia una scoperta, in qualunque campo essa ci colga.

È semmai un ritrovamento che si colloca in una parte della coscienza in cui per un niente balugina che niente è scollegato.

Ogni cosa è collegata, mio amore.

Come in questo preciso momento, mentre chiudi e riapri gli occhi, finché li chiudi cedendo del tutto al liquore del sonno che dilaga caldo in te.

Avrei dovuto sapere di desiderare esattamente questo.

Ma se lo avessi “saputo”, non avrei trovato. Perché sapere non è il verbo che ci riguarda di più. Il sapere riguarda chiunque, in uno sviluppo che non ha persona su cui incarnarsi.

Trovare ciò che non si sapeva di cercare e riconoscerla, invece, questo è sì, in profondità siderali, un segno della nostra spaventosa appartenenza a qualcosa di più roteante. Di più remoto. E annulla per noi il limite del tempo.

Ma per l’impatto bianco con ciò che non si sapeva di cercare, occorrono i sensi aperti alla massima potenza, e desiderare senza limiti.

Tu sei così, anche se non lo sai, così presa dal sogno, navigata dai flussi del tempo. Non sai di saperlo. Dormi. E allora sarà.

E ora che il niente ti avvolge a spirali, certo, potrei tentare di immaginare dove tutto questo mi porterà, ma non avrebbe senso: quando sarà veramente, non sarà nel modo in cui l’ho pensato.

Sarà solo come avrebbe dovuto essere.

E così nell’indefinito tutto è possibile in ogni sua forma, nessuna esclusa.

Ora che il sonno ti cambia il respiro, addensandosi in te e facendoti di un’altra dimensione, decidi tu cosa sia quando senti di doverti dire dentro:

ho trovato l’introvabile,

ed ora che si rivela,

so che è la forma più semplice

e ineffabile

del bene.

gianCarlo onoratoMusicista, scrittore e pittore fuori dagli schemi, ex leader di Underground Life. Ha pubblicato i dischi: Il velluto interiore (1996), io sono l’angelo (1998), falene (2004), sangue bianco (2010, Premio Giacosa), ExLive (2014) con Cristiano Godano, quantum (2017), “quantum Edizione Extra” (2018), ha curato la co-direzione artistica del Tributo a Luigi Tenco come fiori in mare Vol. I (2001) e Vol. II, in “Sulle labbra di un altro” (2011), ed i libri: Filosofia dell’Aria (1988), L’Officina dei Gemiti (1992), L'ubbidiente giovinezza (1999), Il più dolce delitto (2007), “ex-semi di musica vivifica” (2013), La formazione dello scrittore” (2015). Ideatore del Seminario del Verbo Musicato, ha centinaia di concerti alle spalle e un disco, un tour e un nuovo romanzo nel prossimo futuro. giancarloonorato.it

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