A forza di parlare di X Factor, Fedez, conduttori di Sanremo e altre stupidaggini, perdiamo di vista i dischi emozionanti di Van Morrison e Neil Young

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Che cosa succede in Italia? Succede che a forza di parlare di cavolate trash legate al mondo deprecabile della moda e della televisione, escono dischi che meritano la nostra attenzione e noi non ce ne accorgiamo neppure.

Sto parlando di Keep Singin’ di Van “the man” Morrison e Peace Trail di Neil Young.

Van mi è arrivato all’orecchio grazie al buon gusto di Francesca (my light) che me l’ha fatto ascoltare in auto, in casa  in studio mentre lavoravamo e pian piano, quell’elegante irish-soul di Van si è fatto strada coi suoi racconti di “ogni volta che vede un fiume” e le reminiscenze poetiche dei grandi scrittori della beat generation, con quella vocalità che è appannaggio quasi esclusivo di Van ( provate a cantare uno dei suoi pezzi, è quasi impossibile, Van riesce a cantare letteralmente l’elenco del telefono ) e la musica?

Ottima, arrangiata e suonata da musicisti capaci di rispettare le canzoni, con suoni coerenti e con una “visione” legata al disco.

Stessa cosa è successa per the Loner, il suo Peace Trail è uscito quasi in sordina a dicembre. C’è voluto Mel Previte per segnalarmi la bellezza del suono del disco, con le sue armoniche suonate dentro un amplificatore Fender  distorto e canzoni perfette.

Il pezzo di apertura del disco, l’omonima Peace Trail, mantiene la magia delle cose migliori di Neil, una dichiarazione d’intenti etica e sociale, pennellata con un pupo organ e una chitarra elettrica che dialogano, mentre l’approccio batteristico del gigante Jim Keltner crea un avvolgente tappeto di groove circolare su tutta la canzone.

Se non sapete chi è Jim Keltner mi dispiace molto per voi e vi esorto ad andare a informarvi.

Se siete batteristi e  NON SAPETE chi è Jim Keltner, vi esorto a cambiare mestiere.

E che dire della voce di Neil? allo stesso tempo è la voce di un ragazzino canadese con i capelli lunghi e quella di un albero secolare che parla della terra dei nativi americani con autorità.

Un viaggio che dura cinque minuti e una vita, concentrato in un “oggetto-canzone” perfetto. Se c’è un disco che è doveroso comprare per una sola canzone, ecco Peace Trail.

Non che il resto del disco non contenga pezzi di pregio, a me la dichiarazione di “Can’t Stop Workin’” affascina, quando Neil confessa di non potere stare senza lavorare dentro un canovaccio sonoro che si avvicina alle atmosfere bluesy di “For What Is Worth”. Oppure il groove meccanico e cantilenante di “John Oaks” con la sua storia di un combattente per la giustizia.

Questa voce sottile, questo piglio, Neil lo usa per fare luce su aspetti della vita nel 2017 che rimarrebbero in ombra, per parlare di diritti, di scelta, e lo fa attraverso il racconto ma anche attraverso il suono.

Sto consigliando questi due dischi a tutti quelli che incontro, ieri ero al lavoro in studio di registrazione, in sala regia, di fronte a un grande banco di registrazopme e, come al solito, la musica è fatta di suoni ma anche di tante parole, spesso inutili, a volte ridondanti dichiarazioni di intenti, di presagi oscuri quando, a un certo punto, ho chiesto:

“Ma l’hai sentito l’ultimo Neil Young?”

Alla risposta negativa dell’ingegnere del suono, gli ho detto di cercarlo su You Tube e l’ho pregato di mettere in ascolto il primo brano.

Entrambi, mentre ascoltavamo la canzone “Peace Trail”, estasiati dalle scelte naturalistiche espresse in registrazione, ci siamo girati verso la sala di ripresa che si intravedeva nella penombra, entrambi sicuri che Neil fosse in sala a cantare e suonare, tanta era la naturalezza del suono e l’urgenza espressa dalla musica.

Questi dischi, incisi con personalità e passione, necessitano di un tempo di ascolto dedicato simile a quella modalità magica nella quale siamo cresciuti, non puoi ascoltarli una volta o due, ti devi dedicare, lasciare trasportare, farti ammaliare, perché come le espressioni altissime di scrittori e poeti, hanno attorno una sorta di involucro a difesa del contenuto, per evitare che vada diluito nel mare di cavolate che ammorbano la superficie del nostro mare.

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