Vessicchio a Sanremo: tutta la verità. È colpa di Mozart

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direttori d'orchestra

Giuseppe Vessicchio, detto Peppe o Beppe a seconda di chi lo chiama, osserva perplesso il pandemonio mediatico sulla sua assenza dal prossimo Festival di Sanremo e sulla sua critica alla tv e ai talent, lui che di talent e di tv ne ha masticata tanta da quando iniziò a collaborare con Gino Paoli e poi si ritrovò nel 1990 sul palco dell’Ariston per la prima volta.

GIALAPPA’S – “La verità è semplice – mi racconta con la stessa sobrietà sorridente con cui per anni ci siamo scambiati commenti veraci nelle serate festivaliere – e cioè che al Festival non vado perchè nessuno dei cantanti con cui ho lavorato è stato scelto. Mi hanno proposto di partecipare a qualche trasmissione come opinionista ma non mi sembra elegante fare quello che siccome non ci va, ne va a parlare. Me l’ha proposto anche la Gialappa’s e a loro ho detto che se si suona bene ma parlare no. Ci stiamo organizzando. Potrei andare lì con la mia orchestra da camera e inventare delle cose da mettere qua e là. Vediamo. L’unico rammarico è non trovare gli amici dell’orchestra, i coristi e i musicisti con cui si faceva casino la sera, magari facendo le imitazioni dei vari cantanti”.

IL LIBRO – A Sanremo Vessicchio, direttore d’orchestra, arrangiatore, compositore, sarà anche per presentare il suo libro “La musica fa crescere i pomodori” (Rizzoli) in uscita il 2 febbraio – domenica sarà per questo da Fazio in tv -, e un cd realizzato con un’orchestra da camera, il “Sesto Armonico”. “E’ anche un’occasione per trovarsi lì e salutare gli amici”

LE POLEMICHE – “Ho detto in un’intervista che la Rai ha ridotto da tempo Sanremo a un programma televisivo. Si gloriano degli ascolti del programma, ma se poi non vendi un disco è un problema. Lo stesso è per i talent. Vi ho partecipato, ed è meglio che ci siano piuttosto che no, perchè hanno avuto il merito di fare da trampolino di lancio per molti giovani. Ma non ci devono essere solo i talent. Ci vorrebbe anche un’istruzione musicale, perché il format dei talent è tale che o fai il personaggio che diventa famoso o non fai più musica. Ma la musica si dovrebbe fare a prescindere, e se poi la fai e ti fa guadagnare e avere successo meglio. Ma se non succede che fai? Non fai più musica? Una volta il disco era la testimonianza di un’attività in essere, non un biglietto da visita di partenza. Se volevi fare musica la facevi, perché avevi passione, ti interessava, ti divertiva. Ma la promozione perenne e continua del mito attraverso i talent ha un riflesso negativo ed è una cosa che si deve sapere. I talent sono bellissimi, straordinari, hanno segnalato alcuni talenti indiscutibili, ma la musica è anche altro. Ai ragazzi dell’Accademia di Sanremo, quando sono andato a parlarci, ho cominciato dicendo: siete seicento e ne prenderanno nove. Mi auguro che gli altri 591 sappiano già cosa fare nella vita e nella musica”.

A parte che vincere a Sanremo non offre garanzie, i best seller della storia recente o sono stati cacciati presto o sono arrivati ultimi, come Zucchero e Vasco. Ma avevano una loro storia che è continuata e li ha portati dove sono.

“ Certo, vedi il caso Negramaro, eliminati alla prima selezione, ma anche altri che hanno avuto meno fortuna, venduto poco, ma le loro canzoni le senti ancora adesso, come Cammariere o Buonocore. Oggi invece si produce molta roba usa e getta, per sopendere poco e portare a casa quel che si può. La logica di oggi è che tutti possono fare tutto, i cantanti, i cuochi, i ballerini, e guai a dire che per fare devi sapere, guai a dire che devi studiare, perché se no rovini i sogni, come al Grande Fratello”.

FARE MUSICA – Noi apparteniamo a una generazione che suonava per passione prima di tutto, poi da mille gruppi che affollavano i club e i teatrini divertendosi ne usciva magari uno che diventava famoso. Ma non era poi così importante. Però si stava insieme, si suonava insieme, era un’attività di gruppo che ti faceva socializzare ed essere creativo. Oggi la musica dovrebbe essere tra le materie principali della scuola e dovrebbe esserci un interesse diffuso per ogni tipo di musica, invece capita il contrario.

“Io mi auguro che oltre ai talent ci siano in Italia altre cose che li bilancino. Una madre mi ha scritto che è stufa di vedere il figlio continuamente frustrato. Ma il fatto è che la discografia non esiste più. E’ drammatico pensare che non c’è speranza, che o si passa dai talent o non esiste più nulla. Ma la musica è altro. A Sanremo sul palco ci sono molti più musicisti che cantanti che partecipano. Bisogna farlo sapere. Va promozionato il fare musica e il rapporto col linguaggio. Siamo un paese in cui ci si accontenta di parlare ma nessuno si preoccupa di saper davvero leggere e scrivere. Questo nella musica. Nei libri il rapporto col linguaggio è più evidente e se non sai scrivere si vede subito. Nella musica la qualità è oggi di livello così basso che tutti a casa sono in grado di fare con pochi spiccioli quello che fanno i discografici spendendo centinaia di migliaia di euro. Oggi fai fatica a distinguere i provini dai dischi veri. Col digitale son buoni tutti e i prodotti sono tecnicamente validi ma livellati”.

Con un computer, dei preset, tanti campionamenti, costruire qualcosa di ascoltabile è facile, ma creare qualcosa di buono, di vero, di unico è un problema, e forse è per questo che alla fine quando ci si allontana dalla fascia dei fanatici di questo o quel personaggio, si continua ad ascoltare vecchi dischi.

MOZART – “La musica fa crescere i pomodori” è un titolo strano per un libro. Cosa nasconde?

“Pensavo a modi di trasduzione del segnale sonoro, o attraverso le immagini o trovando una chiave di trasferimento dei suoni sollecitati dalle frequenze. Oppure alle vibrazioni corporee, percepibili abbracciando un megapallone di gomma…”

Sistema che si usa già per far percepire ai sordi la propria voce?

“Quello. Mi sono incuriosito da una notizia letta, secondo cui le vacche del Wisconsin facevamo più latte ascoltando Mozart, ma non i Led Zeppelin. Ho pensato allora di studiare l’effetto sulle piante. E il sunto è che studi sulle piante hanno rivelato che esiste una generica vibrazione che le fa reagire e che possiamo percepire con il cuore e che produce una speciale condizione che è come se aprisse delle porte. Abbiamo studiato Mozart ma anche gli Abba e visto che la loro musica abbassa il battito cardiaco e (ma solo con Mozart) produce un livellamento della pressione. Abbiamo un sistema immunitario che ci fa godere della musica ma non produce scambio. Percepiamo i suoni ma le cellule restano immobili. Con Mozart invece lo scambio funziona e la sua musica colloquia davvero con noi. E le piante lo rivelano. Dipende da un modo di accostare le note che chiamo ‘musica armonica naturale’ e che trovo in Mozart ma non in Beethoven, e mi dispiace perché lo amo molto”.

Spiega meglio perché qui mi sa che molti si sono già persi…

Wolfgang Amadeus Mozart

“Pensa ai colori. Se accostiamo due tonalità di colore che non stanno bene insieme, abbiamo una reazione di ripulsa largamente condivisa. Ci sono frequenze di colore che stridono. Altri colori invece, messi insieme e combinati fra loro con le loro variazioni, sono gradevoli. La musica fa lo stesso. Le regole della polifonia fino al Settecento erano basate sulla capacità di ascolto. Le note erano relative, sentivi un suono ma non potevi dire se era un Re o cosa. Mozart era un istintivo. Sentiva suoni che si combinavano fra loro senza sforzo e seguiva il suo istinto. Mi colpì una sua frase: ‘Non compongo, trascrivo quello che sento’. Beethoven invece cancellava, riscriveva, studiava… Ho dovuto analizzare tutto di Mozart accorgendomi che se sposti una nota sposti un numero e devi spostare di conseguenza tutto il resto. E’ come un elemento naturale, e la natura riconosce i suoi simili”.

Questo vale per Mozart e il barocco o anche per altri tempi e stili?

“Vale per tutto. Mozart ovviamente componeva collegato al suo tempo, ma ritrovi lo stesso meccanismo in Sostakovich, che non ha molto a che fare con Mozart. Magari lo ritroveresti in alcuni momenti dei Pink Floyd, chi lo sa. Io ho provato a comporre in questo modo e non riesco più a fare diversamente. Questo mi ha anche creato qualche problema con gli artisti con cui collaboro. Ora stiamo monitorando la situazione a Firenze dove c’è all’Università un dipartimento di neurochirurgia delle piante, utilizzando come riferimenti la Nona Sinfonia di Beethoven e una base di strumenti elettrici scritta rispettando elementi mozartiani”.

LE MUCCHE E STRADIVARI – Quindi c’è un motivo se le mucche del Wisconsin fanno più latte ascoltando musica classica?

“Se quello che stiano sperimentando è vero, le mucche producono più latte non ascoltando musica classica ma musica armonica naturale. Quindi Mozart e non solo. E questo riguarda il concetto di materia vivente che ha meccanismi di cui neanche abbiamo idea. Ci sono cose che cominciamo a studiare oggi perché abbiamo gli strumenti ma che molti avevano intuito in passato. Copernico riuscì con i suoi strumenti a calcolare la circonferenza della terra sbagliando appena del 18 per cento. Ma nel 200 avanti Cristo il greco Eratostene con due bastoni l’aveva calcolata già sbagliando solo del 4 per cento. Dei violini Stradivari oggi si sa praticamente tutto, ma non siamo capaci di ricostruirli perché ci sfugge quello che per Stradivari era tecnica e intuito, la capacità di scegliere e sentire il legno, di tagliarlo seguendone la natura e le caratteristiche uniche, magari accorciando e limando il ricciolo. Era istinto”.

IL DISCO – Oltre al libro presenterai anche un cd di musica da camera. Di cosa si tratta?

“E’ un progetto trasversale, in cui trovi da Bacalov con la musica de ‘Il postino’ a un Lied di Mahler, musiche spagnole e francesi dell’800, un inedito tango, arrangiati secondo i principi della musica armonica naturale. E siccome tutto filava e mi annoiavo un po’, ho tradotto per archi “Liberty Cities” di Jaco Pastorius ed è stato molto gratificante, una scommessa forte, perché lo swing è il linguaggio più lontano dalla latinità. Lo swing è la prima grande differenza ritmica del mondo. Ho voluto farlo nel segno dell’abbraccio della diversità. Non dobbiamo avere paura dell’altro da noi. Tanto che dal vivo abbiamo proposto anche “Birdland”, dei Weather Report, che ci ha fatto faticare non poco, ma ce l’abbiamo fatta”.

Giò Alajmo

26 gennaio 2017

Giò Alajmo ha la stessa età del rock'n'roll. Per 40 anni (1975/2015) è stato il giornalista musicale del principale quotidiano del Nordest, oltre a collaborare saltuariamente con Radio Rai, Ciao 2001, radio private e riviste di settore. Musicalmente onnivoro, è stato tra gli ideatori del Premio della Critica al Festival di Sanremo e ha scritto libri, piccole opere teatrali, e qualche migliaio di interviste e recensioni di dischi e concerti.

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