“Odds & Sods”. Rarità “clandestine” targate Springsteen come ai tempi d’oro dei bootleg

Un misterioso collezionista apre improvvisamente i suoi archivi e mette in circolazione tredici brani che superano il livello base di “curiosità” e vanno dal 1972 al 2005. Tre inediti, alcune rarità e versioni modificate, live e in studio, compreso il già noto brano rimasto clamorosamente escluso nel 2001 dalla colonna sonora di Harry Potter e la pietra filosofale

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Odds & Sods
di Bruce Springsteen
Bootleg

La copertina, a essere sinceri, è quella di un pessimo (ma pessimo davvero) bootleg di età primordiale; i contenuti, invece, sono paragonabili a quelli di una raccolta di out-takes come quelle che, negli anni Ottanta e Novanta soprattutto, avevano fatto la gioia dei produttori clandestini e la disperazione dei collezionisti più devoti (soprattutto causa esborsi piuttosto regolari quanto consistenti…); la qualità, infine, è “talvolta e quasi” degna di una pubblicazione ufficiale.

Il titolo? Odds & sods, off course! Tredici registrazioni “che, probabilmente, non avete mai ascoltato e una, la numero 12, che a sua volta probabilmente vi delizierà”: questo, almeno, il succo della sorta di messaggio alla nazione espresso dall’anonimo benefattore, a suo dire, vicino da lustri alla band, all’entourage e al personale tecnico del musicista del New Jersey. Così, proprio grazie ai “cordoni della borsa” generosamente aperti da questo appassionato, quasi certamente australiano e passato attraverso una serie di “baratti” in natura, ma anche a un mondo come quello di internet dove ormai certe cose “emergono” in maniera clamorosa in men che non si dica, dal passato più o meno recente di Bruce Springsteen arrivano di colpo tre inediti, alcune tra rarità, versioni modificate e outakes, nonché robuste porzioni di soundcheck che coprono un lasso temporale capace di coprire ben 33 anni dal 1972 al 2005. Utili “cianfrusaglie”, si potrebbe dire.

Ma se, all’inizio, il dischetto (dischetto si fa per dire: diciamo, più correttamente, la cartella di file…) aveva iniziato a girare nella consueta maniera carbonara tra gli studiosi di Springsteen, il suo progressivo approdo sulle principali piattaforme più o meno limpide di “free download” lo rende ormai un prodotto dalla diffusione talmente ampia da meritare almeno una citazione. E, di certo, molti neofiti generalisti dal “download facile” saranno pronti a scambiare Odds & sods per un prodotto ufficiale, senza però comprenderne i contenuti tutt’altro che commerciali.

Quello che la versione ormai a disposizione di tutti non propone, invece, è il messaggio alla “comunità springsteeniana” da parte del “papà” di questo prodotto per completisti e curiosi che, ormai archiviata anche la lettura della recente autobiografia e con l’E Street Band transitata tra ghiotte sorprese e ripetitive conferme in terra australiana e neozelandese (ultima data in programma sabato 25 febbraio ad Auckland) per un’appendice di tour senza indicazioni per quanto riguarda i prossimi mesi, sono ormai stremati in attesa di novità in merito al tanto atteso album cantautorale e a futuri (e, attualmente, improbabili) movimenti internazionali con band al seguito.

Ovviamente, in O&S (titolo, peraltro, già usato anche per un bootleg di qualche lustro or sono) non esiste un filo logico; mancano un trait d’union e anche una valenza cronologica degna di nota. Un po’ qui, un po’ lì. Pezzi “random” con l’unico criterio di scelta dovuto alla loro più o meno consolidata rarità. È, questo si nota subito, un esplicito omaggio agli Who che nel 1974 pubblicarono un album di brani senza apparente filo logico, Odds & sods appunto, proprio per contrastare il fenomeno dilagante dei bootlegers. E chissà quante volte lo stesso Bruce si è pentito del momento in cui, in pieno Darkness on the edge of town Tour, dal palco del Roxy di Los Angeles (introducendo Paradise by the ‘C’ dopo Thunder road) si era lui stesso lasciato scappare per eccesso di esuberanza un “Bootleggers out there in radioland, roll your tapes!” che i ‘santi pirati’ avrebbero preso in parola? Una sorta di Lucky Thirteen alla maniera di Neil Young, se proprio vogliamo allargare il tiro.

Si va dunque da una Tunnel of love iniziale molto ecclesiastica, drammatica ed essenziale con piano elettrico in grande evidenza, versione più unica che rara tratta da una non specificata esibizione del 2005 (trattasi invece dello show di Grand Rapids, MI, tappa ovviamente acustica relativa al 3 agosto del Devil & dust World Tour), per proseguire con una pionieristica Coming home che la Bruce Springsteen Band eseguiva nel 1972. Questa datata e sporchina registrazione, tratta da una lunga serie di prove generali tenute al promiscuo Challenger Eastern Surfboards di Tinker West (la fabbrica di tavole da surf artigianali dove vivevano allo stato brado molti futuri E Streeters) a Highlands, NJ del 14 marzo. Spesso non presente nelle scalette ufficiali che, quasi sempre, parlavano di soli sei brani invece degli otto suonati (quasi mai sentita anche nelle registrazioni pirata, benché già emersa nel 2007), emerge un poderoso rock chitarristico di chiara derivazione british invasion, prevedibile evoluzione del suono Steel Mill.

La versione alternativa di Cadillac Ranch, direttamente dai Power Station di NYC in una giornata di primavera, si apre con una sirena e un mezzo che sgomma (polizia? ambulanza?) e una chitarra leggermente più acida e sbarazzina rispetto la già vivace che tutti conoscono. Piano sempre in grande evidenza, 8” più lunga rispetto quella pubblicata. Una californiana Prove it all night arriva invece dal Forum di Inglewood ed è datata 5 luglio 1978, due giorni prima della famosa serata al Roxy, registrata e resa storicamente imperdibile via broadcast. Archiviato il famoso aneddoto dei baffi disegnati con spericolata autoironia su una sua immagine promozionale installata lungo il Sunset Strip, la versione è comprensiva del tipico intro pianistico del periodo e si affida ben presto alla Telecaster, mai così lancinante come in quei mesi, per poi svilupparsi a oltranza con la coppia Bittan/Federici in gran forma e la voce, forse, non abbastanza microfonata dalla fonte.

Per una nasale State Trooper, ancorché rarissima in versione ESB, si passa al soundcheck del 15 novembre 1999 alla Gund Arena di Cleveland (quindi, in pieno Reunion Tour) con il brano a perdere parte della cruda drammaticità originaria in b/n per assumere, invece, una più poderosa valenza full band con il basso di Garry Tallent e la slide di Nils Lofgren a incidere non poco, prima di una brusca interruzione anzitempo da parte del frontman. Purtroppo, successivamente mai inserita in una scaletta ufficiale.

La versione di Kitty’s back, passaggio più lungo della raccolta con i suoi 10’50”, uscirebbe da una delle primissime uscite live version del luglio 1973 (location e data sconosciute) e, inizialmente, si rivela ancora in fase di transizione con un maggior spazio a un sax mai così tradizionalista da parte di Clarence Clemons (devastante soprattutto nel finale) e una drammaticità che emerge in maniera graduale con passaggi come non mai debitori alle sonorità di Moondance. Proprio le liriche consentono di datarla nel corso dei mesi estivi, mentre le venature soul tolgono un pizzico di urbanità a questo approccio.

Dal soundcheck andato in scena al Tower Theater di Upper Derby in Pennsylvania, 17 maggio 2005, arriva l’irish ballad The patriot game (già cavallo di battaglia di Dubliners, Kingston Trio e Judy Collins) con sottofondo insistente di organo: testo di Dominc Behan e suoni derivati dal traditional The merry month of may che anche Bob Dylan riprese in maniera esplicita per With God on our side. Anche questo brano viene interrotto prima dell’esaurimento naturale e sarebbe potuto tornare utile nel tour con la Seeger Session Band.

Devils and dust fa capolino invece dalle prove per lo show dell’11 aprile 2003 (dunque, esattamente 22 anni dopo la data di Zurigo…) al Pacific Coliseum di Vancouver con inizio quasi tradizionale, nonostante alcuni effetti progressivi di tastiere, slide e infine piano. L’E Street Band ne coglie bene l’essenza originaria e,  nonostante alcune sbavature in fase di esecuzione, fa presagire ulteriori e inedite potenzialità con numerose variazioni nelle liriche. E’ Springsteen stesso, ovviamente (si trattava, infatti, del suo secondo tour in solitaria…) a suonare il piano nella Backstreets datata 6 agosto 2005 al Fox Theater di St. Louis, purtroppo centellinata nel corso delle altre esibizioni mondiali: una prestazione da 10 in pagella che, alla fine, pare lasciare sorpreso persino il diretto interessato. Leggermente più veloce delle versioni più abituali, trova anche il normale supporto dell’armonica e, senza la necessità di suscitare il cori del pubblico da stadio, riesce ad ammorbidire alcuni passaggi con interessanti intuizioni.

Does this bus stop at 82nd Street? ci riporta nuovamente al 1974 e al soundcheck pomeridiano prima del concerto del 6 gennaio al Joe’s Place di Cambridge, Ma. Prima una falsa partenza e poi, con tanto di fischietti in sottofondo, un secondo avvio sparato con Clemons nuovamente in gran spolvero per una versione caoticamente sgangherata, grazie soprattutto a un Federici scatenato. Brano in odore di inclusione in un Telethon televisivo per combattere la distrofia muscolare del quale, però, non esiste testimonianza video disponibile.

Gulf Coast Highway deve qualcosa inizialmente a The river e poi anche a If I should fall behind ma in realtà, quella eseguita durante il soundcheck al MSG del maggio 1988 nelle ultime uscite del Tunnel of love Tour, è un brano di Nancy Griffith, assai amato anche da Emmylou Harris e Willie Nelson. Purtroppo, rimase solo un esperimento mai eseguito in concerto: l’apporto finale di Patti Scialfa ai cori arricchisce una scommessa che avrebbe meritato di essere giocata fino in fondo.

I’ll stand by you always, demo datato 13 giugno 2001 registrato “a fondo perduto” nello studio casalingo di Rumson per un ipotetico inserimento nella colonna sonora di Harry Potter e la pietra filosofale, non ha avuto fortuna e per una serie di circostanze piuttosto paradossali è rimasto escluso dalla colonna sonora. Piuttosto arrangiato e volutamente orchestrale, si colloca nel filone di Secret garden e Street of Philadelphia ed è ovviamente, come verificabile dall’esplicita ribalta delle ultime settimane, un episodio tipicamente cantautorale con il piano sempre in evidenza.

I giochi si chiudono con una Blood brothers alternativa, meno drammatica ed epocale, giunta direttamente dalle sessioni del 9 gennaio 1995 alla Hit Factory di NYC per i brani da aggiungere al Greatest hits, uscito inizialmente nel dischetto ep allegato alla videocassetta con il documentario della clamorosa reunion. Versione più simile a quella del 1 luglio 2000 che a quella, recente, in terra australiana archiviata a sua volta in modalità acustica. E, ovviamente, vanno dimenticati anche gli archi della Roma Sinfonietta che hanno sorpreso l’Ippodromo delle Capannelle e si sono poi ripetuti anche al Circo Massimo. Il suo epilogo nasconde in coda anche i 3’04” di una originale “ghost song” praticamente priva di testo e caratterizzata da un birignao di accompagnamento simile a un lamento che lascia capire tratta vasi di esperimento e null’altro. Chissà dove voleva andare a parare Bruce?

Vogliate gradire!

SETLIST:

1.Tunnel Of Love
2.Coming Home
3.Cadillac Ranch
4.Prove It All Night
5.State Trooper
6.Kitty’s Back
7.The Patriot Game
8.Devils And Dust
9.Backstreets
10.Does This Bus Stop At 82nd Street
11.Gulf Coast Highway
12.I’ll Stand By You Always
13.Blood Brothers + “ghost song”

Foto Daniele Benvenuti

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