Il concerto de Le Luci della Centrale Elettrica è stato bello, ma non troppo

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Foto tratta da Instagram @vale_vale20

Esattamente dieci anni dopo la prima volta, Vasco Brondi torna in concerto a Torino con le Luci della Centrale Elettrica. Allora apriva gli show degli altri e dal pubblico si levò un “fai cagare” mastodontico, racconta lui all’Hiroshima. Oggi il palco è tutto suo e l’empatia con la gente è per fortuna decisamente migliorata rispetto a una decade fa.
Però c’è sempre un però ed è il seguente: detto in parole povere il suo concerto è stato bello, ma non troppo. Era legittimo attendersi qualcosa in più e la sensazione è che il live, partito e finito bene, sia scivolato in picchiata verso il basso a metà dell’esibizione.

Ma andiamo per ordine; le scelte di scaletta privilegiano il nuovo disco, eseguito integralmente in ordine sparso. Brondi apre con il “superpotere di essere vulnerabili” di Qui e impatta bene lo spettacolo. Avanza con Stelle marine, ripesca vecchi successi come Macbeth nella nebbia e di tanto in tanto si parla con il pubblico, soffermandosi spesso sulla gestazione delle sue canzoni.

Il concerto vive di enormi contraddizioni: Brondi sembra perdere del fiato su Chakra e poi ci mostra Waltz negli scafisti – una delle migliori su disco – col suo vestito peggiore. E quando sei lì pronto a massacrarlo, tira fuori una rivisitata (questa volta in meglio) C’eravamo abbastanza amati e ai bis chiude in carrozza con Nel profondo Veneto e Coprifuoco – due delle canzoni più riuscite del nuovo Terra. Queste ultime funzionano bene anche dal vivo e preparano il terreno per Viaggi disorganizzati, ultimo pezzo dell’ultimo album e titolo di coda per un concerto che nel complesso è stato ampiamente sufficiente, ma non quanto ci aspettavamo dopo un disco così ben architettato da Brondi e soci.

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