Oodal: LA FINTA RABBIA CHE CI SI OSTINA A MANTENERE DOPO UN LITIGIO CON UNA PERSONA IMPORTANTE
Torno così a gamba tesa all’indomani (più o meno) dell’uscita della quarta serie prodotta dal binomio Marvel-Netflix tirando fuori dall’armadio una parola del dizionario Tamil, perché ?
Easy, è la sensazione che ho avuto ritrovandomi la gigantografia di Finn Jones sullo schermo una sera che annunciava le parole tentatrici “Guarda subito la prima stagione di Iron Fist” alle quali ho risposto cercando di mantenere quel broncio che è però dote naturale delle peggiori ex rivangando le delusioni datemi da Luke Cage che era partito benissimo ma si è sciolto come neve al sole con uno dei finali più disastragicamente brutti e deludenti.
Ma sono una persona debole ed eccomi qui a parlare di questo ultimo prologo del ciclo dei vendicatori.
NON MI RICORDI NESSUNA GUAGLIONA… AH NO FERMO
Tranquilli rispetto il politically correct, non è una battuta circa il precedente ruolo dell’attore protagonista (il defunto cavaliere di fiori in Game Of Thrones) qualche peculiarità (tipo essere decantato come imbattibile eppure prenderle abbastanza spesso) del personaggio sia stata mantenuta quanto piuttosto della serie in se che prende qualche spunto da diverse altre opere.
La stagione si è presentata in maniera atipica rispetto alle 3 sorelline rivelandosi più sperimentale ed atipica: se Jessica Jones è un Noir con qualche superpotere buttato lì tanto per gradire, se Daredevil è la serie supereroistica conservatrice per antonomasia (nonostante fosse l’unico caso in cui i poteri erano semiquasi assenti) e se Luke Cage è stato un piccolo tour guidato di Harlem dove il personaggio principale si è trovato in difficoltà una volta e mezzo circa, beh Iron Fist mixa atmosfere e stili passando da Chinatown ai piani alti delle corporations, dallo psicodramma ai film di arti marziali.
ME PARE THE OA CON LE MAZZATE!
E infatti la battaglia del protagonista Danny Rand si combatte sui campi del fisico, della mente e della legalità; il ragazzo dovrà affrontare infatti una potente organizzazione criminale (vabbè tanto ormai alla Marvel riciclano i cattivi quindi ce lo possiamo dire: i nemici sono quelli della Mano), il mondo spietato delle corporazioni farmaceutiche e anche lo scetticismo della sua “famiglia” che lo vedrà tornare in patria dopo 15 anni dalla sua presunta morte.
Un esperimento sicuramente affascinante per la Marvel che conclude degnamente un ciclo ambizioso per aprire le porte al progetto principale: l’ensemble dei Defenders, l’alternativa low budget newyorkése agli Avengers.
MORTE PER MILLE TAGLI DI TRAMA
Sarà che essendo l’ultimo arrivato beneficia indirettamente della sicurezza e dell’esperienza, sarà che il personaggio di per sé sarebbe potuto risultare noioso ma questa è probabilmente la stagione più corale di questo arco narrativo dove tutti i personaggi si rivelano piccoli ingranaggi di una macchina che danza come un derviscio tra il determinismo e il libero arbitrio, ferendo il senso di sicurezza ispirato dall’eroe scaturisce un forse non andrà tutto bene, anzi, l’eroe protagonista è pure piuttosto scarso e molto spesso si ritrova in difficoltà contro molti avversari nei combattimenti surreali.
Capitolo combattimenti: carini, ben coreografati, non rendono l’idea della potenza dell’eroe e glorificano molto di più i vari gregari come la wannabe-sensei Colleen che offre sequenze molto interessanti.
Ps: se qualcuno viene a dirmi Gnè gnè i combattimenti non sono realistici reagirò come lei.
Passiamo ai personaggi, come già detto si tratta di un’opera corale e posso dire con un discreto grado di certezza che LI HO ODIATI PRATICAMENTE TUTTI (con rare eccezioni).
Tra l’atteggiamento insopportabile che ha Danny nel 98% delle scene, la psiche volubile di Joy e lo spettro emotivo fortemente limitato di Colleen o la semplice presenza di Madame Gao può spesso far capolino il desiderio di mettere in pausa e ricominciare a guardare Lost non lo nego.
Però forse c’è un qualcosa in più, una trama che nonostante sia pervasa da colpi di scena citofonati risulta comunque accattivante e dei nemici che compensano l’assenza di qualità (ormai peccato atavico della Marvel) con una varietà abbastanza inusuale al punto tale che viene da chiedersi: “Ok ma chi è il vero nemico?” rendono un prodotto di intrattenimento ibrido che mantiene il trend settato dai predecessori però mettendo quel qualcosa in più sul tavolo lasciando l’ago della bilancia solo in balia dello spettatore.
Il risultato finale è un prodotto ben al di sopra della somma delle parti, 13 ore interessanti e godibili senza troppi ghirigori o dietrologie, una presentazione degna dell’ultimo membro dei difensori prima del vero inizio delle danze quando la squadra sarà finalmente al completo.
Namasté.