Federico Buffa racconta con brio Muhammad Alì

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La carica affabulatoria di Federico Buffa conquista il Teatro Romano di Verona. La prima nazionale di Muhammad Alì – A night in Kinshasa fa registrare il tutto esaurito e dispensa cultura ed emozioni. Una storia sportiva ma non solo, contestualizzata con dovizia di particolari che toccano la politica coloniale, l’integrazione razziale e la guerra nel Vietnam.
Il 30 ottobre 1974 allo stadio di Kinshasa, nello Zaire, si tiene uno degli incontri più memorabili della storia del pugilato. The rumble in the jungle tra Muhammad Alì e il detentore George Foreman, per il titolo mondiale dei pesi massimi. Un incontro voluto fortemente dal sanguinario presidente Mobutu, impegnato a promuovere lo Zaire a livello internazionale.
Dopo la fallimentare partecipazione ai mondiali di calcio in Germania, organizza un grande concerto intitolato Zaire ’74 a cui parteciperanno artisti del calibro di James Brown, B.B.King assieme a stelle africane come Miriam Makeba e Manu Dibango. Il clou è rappresentato però dal grande match di boxe, che slitta a ottobre per l’infortunio di Foreman e viene fissato alle quattro del mattino per essere trasmesso in diretta televisiva al pubblico americano.
Buffa alterna la cronaca dell’incontro con digressioni e flashback che ricostruiscono le vicende che lo precedono, come la sospensione di Muhammad Alì nel 1967 per renitenza alla leva e il relativo processo fino all’assoluzione nel 1971.
Al centro la figura di un uomo che, diventato campione del mondo nel 1964, cambia il proprio nome da Cassius Clay a Muhammad Alì e crede a tal punto nelle proprie idee, fedele alla religione islamica e all’obiezione di coscienza, da perdere tutto quello che aveva conquistato. The Greatest si rialza e dopo le sconfitte con Frazier e Norton nel 1974 si prepara a riconquistare il titolo contro il fortissimo George Foreman, di sette anni più giovane.
Buffa si muove sul palco come al centro di un ring, simulando le movenze del grande pugile afroamericano, mentre ai lati i due musicisti Alessandro Nidi (voce e pianoforte) e Sebastiano Nidi (percussioni e vibrafono) accompagnano la narrazione con un ricco e incalzante commento sonoro. Si entra nel vivo del combattimento, tra gli Ali bomaye (Alì uccidilo!) degli ottantamila del pubblico e la particolare tecnica rope-a-dope adottata da Alì per sfiancare l’avversario.
Dal quinto round il match cambia padrone e all’ottavo Alì sferra il destro che mette il campione al tappeto. Particolarmente toccante è la coda, rivelatrice della grandezza umana di Muhammad Alì, che cinque anni dopo l’incontro rivede Foreman a Houston, che ha ormai abbandonato la boxe per fare il predicatore di strada. Lì diventano amici e non si perderanno più. La sua battaglia per i diritti civili continuerà nonostante il morbo di Parkinson, diagnosticato nel 1984, che non gli impedirà di tessere relazioni umanitarie fino alla morte nel 2016. Un grande affresco di storia che Federico Buffa ha saputo raccontare da par suo, meritando gli applausi a scena aperta dell’intero teatro.

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