Locarno 70. Sparring. Una vita a perdere

Ultima occasione sul ring per uno che perde sempre. Per perdere bene.

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Sparring
di Samuel Jouy
con Mathieu Kassovitz, Olivia B. Merilahti, Souleymane M’Baye, Billie Blain, Lyes Salem

Sparring è un film sui lavoratori della boxe, quella non eclatante, quella dei combattenti quotidiani che hanno più incontri persi che vinti e possono o sparire e basta o sparire su una sedia a rotelle, cioè “suonati”. Uno dei metodi per finire suonati è fare da sparring partner a pugili bravissimi e crudeli che ti usano per allenarsi contro avversari di pregio, ma non vogliono farsi male mentre sperimentano il modo di far male su di te. È la Noble Art vista dal basso. Lo Steve Landry di Mathieu Kassovitz (tanto amato come regista) è un ultraquarantenne con un brutto naso, pochi soldi e poche vittorie che per esaudire qualche piccolo sogno quotidiano (anche di gloria, soprattutto di tenerezza) decide di rischiare le meningi anche se tiene famiglia. Sparring è il non film sulla boxe standard: niente schizzi di sangue sul pubblico, niente paradenti che volano al rallentatore, niente fanfare, niente “occhio della tigre”, niente risvolti illegali avventurosi: insomma non è un Rocky ma neanche un Toro scatenato e non è neanche uno dei finti film antiboxe che usano le droghe della boxe. È il passo d’addio di un paria del ring che ha buone intuizioni e quasi zero doti. Nei momenti giusti non ti dà la soddisfazione di un colpo azzeccato o di una piccola vendetta. È un’opera prima misurata sulla vita. È un film per Piazza Grande.

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