C’era in un villaggio assai vicino al nostro, un mercato, e molte migliaia di individui tutti contemporaneamente urlavano a destra e a manca quanto fosse buono il proprio prodotto.

Erano davvero tanti, e avevano a quanto pare tutti qualche cosa di imperdibile da vendere.

C’era chi urlacchiava la propria offerta in modo contenuto e poco udibile, coperto a tratti dal gran vociare di qualcun altro subentrato con arroganza, e chi sapeva invece prendersi larghe fette di ascolto grazie a potenti dispositivi di amplificazione. C’erano quelli che stentavano a tirare fuori una vocina roca, minata dalla paura di non farcela e quelli che con un filo di voce ostentavano una cantilena ormai quasi del tutto spenta, esausti ma come programmati da una volontà più grande a ripetere la nenia affannosamente e ormai solo per sé. C’era il furbo, che cambiava sovente posizione e anche se aveva sempre da proporre la stessa solfa, sembrava avesse ogni volta una gran novità da urlare, e c’era il distinto e nobile impettito e con lo sguardo fisso dinanzi a sé, perduto in un oblio senza speranze. Accanto gli strepitava da poco un ragazzetto più che mai intraprendente, tanto che a sentire lui, pareva che mai prima si fosse sentito proclama più degno di attenzione, sebbene avvicinando l’orecchio al suo vociare non faticavi molto a riconoscere la stessa formula di sempre, identica a quella di tanti altri, solo detta in modo più volutamente scalcagnato, giusto per apparire avvincente in quanto presumibilmente nuova.

Ad un certo punto cominciarono però a rendersi conto che ciascuno stava urlando all’altro per la vendita della stessa cosa, e che così facendo, se l’uno aveva la pretesa di vendere all’altro grosso modo ciò che l’altro si aspettava di vendergli a sua volta, per questa via, nessuno avrebbe presto venduto più alcunché, essendo venuta a mancare del tutto una qualunque forma di acquirente.

Qualcuno cominciò allora a domandarsi sommessamente se avesse senso proseguire a sbraitare tanto tentando la vendita di qualcosa che in definitiva mai sarebbe stata venduta proprio a causa della scomparsa dell’acquirente, essendosi cioè anche l’ultimo acquirente trasformatosi lentamente a sua volta in un venditore.

E così, questo malessere della mancata vendita, questa sfiducia nel significato della vendita, questo spossamento da urlo a vuoto nel caos infernale che tutti i tentativi sommati avevano saputo generare, cominciò a serpeggiare al punto che prima le più piccole e indistinte voci, poi a giro, lentamente anche quelle apparentemente più acute, cominciarono ad affievolirsi, sinché si spensero gradualmente anche le più ostinate e, alla fine, in uno scemare confuso, anche le ultime forze dell’urlatore più accanito vennero a mancare.

Un silenzio tombale prese a spirali la piazza del mercato e un vento gelido di resa cominciò a batterla.

I tempi cambiavano, e tanto la primavera quanto l’estate erano ormai trascorse senza che le si fosse potute vivere appieno.

Qualcuno cominciò a domandarsi se fosse stata cosa saggia starsene tutto il miglior tempo delle stagioni belle a urlacchiare invano alle orecchie di chi a sua volta non aveva fatto altro che ripetere la stessa identica cosa, e così sino all’annullamento.

Da un’attenta analisi condotta infine da alcuni che vantavano capacità di calcolo superiore a quelle della media, si valutò che no, in definitiva non era stata cosa saggia.

Tantopiù che da un esame più accurato ci si era anche potuti render conto che in tutto quel bailamme di tentativo di vendita si era perso di vista l’oggetto che tutti ma proprio tutti tentavano di propinare all’altro.

Ma come?, possibile che davvero in tutto quel caos avesse potuto andar perduto proprio l’oggetto stesso per cui una vendita tanto feroce era stata tentata? Risoltosi che sì, pareva che le cose fossero andate inspiegabilmente proprio così, una profonda tristezza attraversò gli animi, e molti furono quelli che dovettero fare ricorso a medicamenti per non cadere tramortiti dalla stordente crudezza di una simile verità inaudita.

Il vuoto prevalse allora con una forza tale che non si poteva crederlo.

La maggior parte dei venditori, nell’arco del subentrato autunno, caddero malati, ma di quale malattia soffrissero non fu facile capirlo, e allora cominciò a circolare la voce che la causa del male fosse il vuoto che si era instaurato nelle coscienze degli ex-venditori, e che questo vuoto avesse preso il posto di ogni illusione precedentemente installata negli animi ai tempi in cui tutti o quasi avevano creduto che ci si potesse spingere a vivere solo allo scopo di vendere qualcosa, qualunque cosa fosse, senza mai domandarsi neppure se la qual cosa avesse diritto di essere venduta o peggio, se la cosa che si era cercato di vendere potesse avere ragione di esistere o addirittura se mai esistesse più.

Questo sgomento aprì le porte al nulla, che se ne stava acquattato in attesa che ci si accorgesse definitivamente di lui, giacché il nulla, che sottende quieto a molte esistenze, non ha che da attendere l’istante preciso in cui la vita finisca di essere ingannata da una direzione sbagliata, e poi per lui è un attimo.

Un balzo solo.

Con un lieve movimento d’ala questo nulla ancestrale prese il posto di ogni altra cosa, e siccome nella fessa occupazione di tentare di vendere a tutti i costi qualcosa quasi nessuno si era preparato dentro un significato, l’arrivo prepotente del nulla fece strage.

Caddero da tutte le parti.

Taluni rotolavano giù dal letto con la lingua blu e asciutta dopo lunga penosa degenza, altri dopo aver ciondolato sulle ringhiere dei balconi sui quali avevano cercato sollievo, precipitavano come sacchi dai piani alti fino a sfracellarsi sull’acciottolato, altri ancora cedevano afflosciandosi esangui negli androni nel tentativo di raggiungere un aiuto.

La piazza del mercato si trasformò in pochi giorni in una distesa di cadaveri, dai quali il nulla sibilava sinistramente svaporando, e andando a unirsi al rimanente spazio che mai, neppure un secondo, aveva smesso di roboare sopra le teste inutili.

Finché, da una delle arcate della piazza, una mattina se ne venne fuori una ragazzetta pallida con un pastrano color carta da zucchero e i capelli impastati, gli occhi sbiaditi e il passo incerto. Sotto braccio teneva un quaderno dalla copertina ricoperta di carta di giornale, sul quale durante tutti i mesi di vendita aveva annotato i propri pensieri, le paure, il desiderio bruciante, tutte le speranze e i sentimenti suoi più intimi, senza pensare neppure un minuto di venderli a chicchessia.

Si incamminò triste verso qualcosa di nuovo sentendosi sola al mondo. Ma il nulla in lei non potè entrare, né ci provò neppure, poiché parole e sentimenti gratuiti abitavano delicatamente il suo piccolo cuore.

gianCarlo onoratoMusicista, scrittore e pittore fuori dagli schemi, ex leader di Underground Life. Ha pubblicato i dischi: Il velluto interiore (1996), io sono l’angelo (1998), falene (2004), sangue bianco (2010, Premio Giacosa), ExLive (2014) con Cristiano Godano, quantum (2017), “quantum Edizione Extra” (2018), ha curato la co-direzione artistica del Tributo a Luigi Tenco come fiori in mare Vol. I (2001) e Vol. II, in “Sulle labbra di un altro” (2011), ed i libri: Filosofia dell’Aria (1988), L’Officina dei Gemiti (1992), L'ubbidiente giovinezza (1999), Il più dolce delitto (2007), “ex-semi di musica vivifica” (2013), La formazione dello scrittore” (2015). Ideatore del Seminario del Verbo Musicato, ha centinaia di concerti alle spalle e un disco, un tour e un nuovo romanzo nel prossimo futuro. giancarloonorato.it

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