Lara Molino: forte, gentile… e ricca di idiomatico talento

La cantautrice abruzzese, affiancata dalle intuizioni sonore e dalla produzione artistica del maestro Michele Gazich, trasforma in piccoli affreschi musicali le poesie del padre Michele e alcune gemme della tradizione popolare delle sue terre. Un album fresco e maturo, mai ostico, nel quale l’uso del vernacolo costituisce non un limite ma un prezioso e creativo valore aggiunto

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Lara Molino
Foto di Debora Locci

Sono sempre stato convinto che buona parte dei dialetti italiani abbia potenzialità musicali e poeticamente applicate ancora, purtroppo, largamente inespresse. Soprattutto laddove utilizzati con preparazione di base e sincerità creativa al posto delle tradizionali e scontatissime macchiette di facile impatto per troppo fatui, ma evidentemente redditizi, circuiti “ascensoristici” tra finto hip hop da corridoio di centro commerciale e crooner da matrimonio coatto.

Potenzialità di ampio respiro, andrebbe aggiunto, con una certa possibilità di fruizione anche al di là dei confini nazionali dove, ricordiamocelo sempre bene, a parte su alcuni mercati redditizi assai ma di bassissimo livello espressivo (inutile citarli, sappiamo tutti benissimo quali sono…), gran parte dei cosiddetti big italiani sarebbero sonoramente pomodorati subito dopo aver valicato anche solo di pochi metri gli ormai ex valichi di frontiera. Senza fare nomi, ed evitando anche di cadere nelle consuete citazioni legate alla fagocitatrice ma troppo altalenante triade vernacolare sull’asse Napoli-Roma-Milano, mi vengono in mente eccellenti esempi di brani singoli e anche di album interi realizzati con professionale puntiglio e moderna genialità (non solo, dunque, voce, chitarra e strumenti acustici della tradizione, magari incisi con tecniche precarie e brusii di sottofondo…) tanto in ferrarese quanto in friulano, in sardo e in ligure, in calabrese e in pugliese, in siciliano e in toscano. E chissà quant’altro ancora di interessante e di genuino bollirà in pentola in altre regioni e in altri angoli dimenticati della penisola.

Il tutto per andare a introdurre il profilo di una piccola-grande gemma che sarebbe un peccato passasse inosservata davanti alle orecchie e alla sensibilità di chi bazzica questi lidi. E anche nel mio caso, pur tenendo le orecchie sempre ben rizzate “verso il basso” (inteso come realtà che arrivano da cantine, garage e sale prova, non da salotti buoni, reality show e uffici stampa ben retribuiti per valorizzare anche i sassi…), ben difficilmente e colpevolmente avrei notato il coinvolgente lavoro di Lara Molino se non mi fosse arrivata un’autorevole segnalazione da parte di un caro amico musicista di spessore internazionale.

Garbata ma al tempo stesso aggressiva, umilissima ma anche spregiudicata nell’esprimere il proprio talento, sobria ma caratterizzata da apici di estro da valorizzare, Lara Molino costituisce un incrocio tra una cantastorie itinerante e una cantautrice classica da folk club, tra una poetessa di strada (nel senso nobile dell’accezione) orgogliosa di esserlo e una garante delle tradizioni più polverose sinceramente convinta, senza tuttavia mai incorrere in sterili eccessi campanilistici. Modesta ma coriacea, dolce ma sufficientemente cruda, graffiante ma capace al tempo stesso anche di improvvise carezze, portavoce di fatti e orizzonti reali (e più o meno datati) ma sempre circondata da un’aura di provvidenziale modernità.

Lara Molino

Ovviamente, visto il punto di partenza dal quale ci siamo fin troppo allargati, Lara si esprime in dialetto abruzzese: idioma apparentemente ostico ed estraneo ai circuiti della facile visibilità ma poi, una volta affrontato con diligenza dall’ascoltatore curioso, perfettamente comprensibile. E ciò anche grazie alla scelta, intelligente assai, di inserire nell’esaustivo ma non ridondante booklet dell’album tutti i testi con tanto di traduzione in italiano prima e in inglese poi, oltre a un’utile presentazione dei contenuti.

Più di 180 brani autografi nel cassetto, insegnante di chitarra maestra nel finger picking e ottima armonicista, fin dall’adolescenza presenza costante ai festival e ai concorsi legati alla musica popolare e d’autore un po’ di tutte le regioni della penisola (sempre, tuttavia, con brani inediti senza scimmiottare nessuno o approfittando di parolieri o produttori cotonati e sboccati da “talent corrida”), trovando valorizzazione anche in ambito cattolico-episcopale che la ha portata ad esibirsi spesso in diretta televisiva anche in Spagna, Canada e in piazza San Pietro davanti allo stesso Papa, Lara ha fatto progressivamente incetta di riconoscimenti (anche dal mondo istituzionale e da quello della solidarietà) e soddisfazioni lasciandosi alle spalle aperture di show sulla carta illustri (da Claudio Baglioni a Gianni Morandi), partecipazioni a compilation e lavori più completi e articolati che culminano nel cd Tra le mie braccia del 2005.

E oggi, con Fòrte e gendìle, arriva finalmente il suo lavoro più completo e ambizioso nel quale porta avanti una posizione di attaccamento alle radici personali, anche geografiche, già evidenziata nel brano Il mio angolo di cielo dedicato a San Salvo, la sua città.

Che dire? Alla fine, gli artisti “veri” si fanno sempre capire dal pubblico. In un modo o nell’altro. Anche da quello ignorante in merito al vernacolo e alle tradizioni abruzzesi come siamo noi. Quando arriva il momento in cui sono necessarie troppe spiegazioni ‘esterne’, ecco che rischiamo invece di sprofondare nel forzato e nell’incompleto. In questo caso, invece, la teatina Lara Molino “arriva” con imprevedibile facilità e non cerca troppo facili scappatoie nella complessità idiomatica o nell’eccessivo ricorso al folklore locale.

Ecco dunque che, dove non arriva la comprensione “seduta stante” di un dialetto ben poco inflazionato e di un’espressività comunque sincera e diretta, basta sfogliare per pochi secondi il completissimo booklet e l’introduzione della stessa autrice che ha il merito di affrontare con coraggio la questione “radici”, utilizzando solo ed esclusivamente testi usciti dalla sua penna. Certo, l’incontro provvidenziale e la sinergia spirituale & espressiva con il maestro Michele Gazich (qui anche incisivo ma non invadente produttore artistico, nonché direttore d’orchestra con il suono inconfondibile del violino e della viola) hanno avuto un peso determinante nella realizzazione di questo piccolo gioiellino. Ma, anche in questo caso, va a pieno merito dell’artista la capacità di affidarsi a una guida così sapiente e ispirata come quella del compositore e autore di origine dalmata che, presente in oltre 40 album e con una discografia personale che ormai si avvicina a quota dieci, è risultato in passato fondamentale compagno di strada anche di Massimo Bubola e Luigi Maieron. Uno di quelli che, davvero, da oltre vent’anni suonano all’estero al fianco di personaggi del calibro di Michelle Shocked, Mary Gauthier, Eric Andersen e Mark Olson. O magari dei gloriosi gaelici Chieftains, tanto per tornare con rigore alle radici ma con grande apertura alla modernità. Perché quelle di Lara, assicura Gazich stesso, sono “nuove canzoni per nuovi ascoltatori. Non certo – aggiunge convinto – folk song per topi da biblioteca”.

Lara Molino e il maestro Michele Gazich (foto di Debora Locci)

Per Fòrte e gendìle, inoltre, Gazich ha messo a disposizione anche tutto il suo staff abituale di fiducia: l’album è stato infatti registrato nello studio di registrazione MacWave di Brescia da Paolo Costola (che ha registrato tutti gli album solisti dello stesso Gazich) e viene pubblicato dalla FonoBisanzio, (l’etichetta del violinista-produttore) con tanto di distribuzione IRD. “Sentivo la necessità di aprire un percorso folk, legato ai suoni e alle tradizioni del mio Paese, l’Italia – spiega l’artista – Da tempo desideravo produrre album legati alla canzone di matrice folk, ancora viva e propulsiva. Non sono bastati centinaia di anni di melodramma e della sua deriva contemporanea, il pop, a cancellarla. Sto già lavorando – anticipa infine – alla produzione di un altro album in questa direzione con i marchigiani Sambene (Sentieri partigiani. Tra Marche e memoria) che mi appassiona molto”.

Preziosa ispirazione, come non citarla vista la sua incisività, sono stati anche i versi del babbo di Lara, Michele Molino, sporadica voce narrante in alcune canzoni e ponte ideale per traghettare in sala di registrazione figure pittoresche come quelle di Zì Innàre lu pesciaróle (il pescivendolo che ogni giorno percorre chilometri su chilometri, scalzo, solo per recuperare la sua merce di scambio), di fantasia come Mazzemarèlle o drammaticamente reali come quella del brigante Pomponio.

Un album da ascoltare, piuttosto che da spiegare brano dopo brano. Dieci creazioni che esordiscono in maniera ideale con la voce limpidissima di Lara a lanciare Lu fóche de San Tumasse (Il fuoco di San Tommaso) prima che la mano e l’archetto di Gazich si facciano immediatamente sentire con un apporto tanto consistente quanto sobrio e mai invadente. Per gli amanti dei confronti, prima e unica volta, siamo dalle parti della Teresa De Sio più cauta e misurata con suoni che spaziano fino al cantautorato meno classico di scuola genovese a qualche sprazzo persino dei The Gang meno aggressivi. Come accade per molti artisti di valore, Lara non cerca di ottenere autorevolezza alzando voce e toni, ma se la “guadagna” minuto dopo minuto con incisività e carattere.

Fòrte e gendìle (Forte e gentile) è un aperto omaggio alla terra e alle genti d’Abruzzo ma, soprattutto, “un inno alla donna” attraverso una suggestiva ed essenziale ballata dedicata alla struggente figura di Nicoletta Zappetti. Mazzemarèlle pare l’ipotetico lato B di Volta la carta con la premiata ditta Mussida & Di Ciccio a curarne le musiche in una sorta di italico fandango: dai solchi del cd pare addirittura saltare fuori questo folletto dispettoso, incarnazione dei bimbetti morti ancor prima del battesimo. Scénne d’óre (Ali d’oro) utilizza parole di 200 anni or sono e sonorità sempre più struggenti con Gazich, affiancato dall’esperto Marco Lamberti alla chitarra acustica, a sospingere fino al cielo imprevedibili sciami di lucciole per “guardare il mondo con gli occhi di un bambino”.

Live: Lara Molino e il maestro Michele Gazich (foto di Debora Locci)

L’emigrànde (L’emigrante) conduce al giro di boa, omaggiando senza troppe metafore e con la chiarezza della semplicità il dolore, le fatiche e la nostalgia di un giovanissimo emigrato d’altri tempi verso la Germania, benché strizzi anche l’occhio all’attualità ma senza ruffiana e fumosa retorica da salotto. Detto del brigante Pomponio e delle sue scorribande (“Per vincere Pomponio ci vuole un gran demonio”), condite anche dalla provvidenziale fisarmonica di Titti Castrini  per una sorta di mazurka più dileggiante che spaventata e passaggi anche in idioma italiano, la successiva Lu vecchie e lu quatràle (Il vecchio e il fanciullo) costituisce un’altra suggestiva ballatona dalla spiccata sensibilità e dalla pittoresca cornice con un anziano e un bimbo che giocano a carte con le cime innevate della Maiella da un lato e le onde dell’Adriatico dall’altro. Zì Innàre lu pesciaróle (Zio Gennaro il pescivendolo) costituisce un altro gustoso cortometraggio per le orecchie e la fantasia, mentre Lu Sand’Andònie (Il Sant’Antonio) è dedicata con arrangiamenti progressivamente sempre più ricchi alla lotta tra il bene e il male, tra il santo (in questo caso specifico, l’eremita Sant’Antonio Abate) e il demonio. Brano più lungo dell’intero lavoro con i suoi 5’38” di durata, sorta di trasposizione permanente dei riti del 17 gennaio perpetrati di via in via e di casa in casa, ancora oggi, da gruppi di cantori, anticipa il rapido commiato affidato a Casche la lìve (Cadono le olive) che, con il suo 1’38”, omaggia apertamente un canto di lavoro ortonese, in passato già registrato da Domenico Modugno (Amara terra mia), nel quale la voce ispirata di Lara Molino si ricava una ribalta conclusiva quasi acapella.

Vogliate gradire!

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