Viaggio in Oman. Una bella sorpresa in bilico fra tradizione e futuro

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Oman
@Oman Tourism

Ero convinto che l’Oman fosse molto più piccolo. Invece ha una superficie superiore a quella dell’Italia, anche se ci vivono poco più di due milioni e mezzo di abitanti. Incuneato tra Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e Yemen, occupa la punta sud-orientale della penisola arabica, ed è un paese che regala una varietà di paesaggi davvero sorprendente: montagne di roccia rossa che si tuffano nell’oceano dando vita a baie e fiordi incantevoli, deserti con le dune di sabbia che digradano verso il mare, centinaia di chilometri di spiagge. E ancora: canyon e gole profondissime, oasi lussureggianti, torri, castelli medievali. E lo spettacolo senza prezzo delle gigantesche tartarughe verdi che scavano profonde buche sulla spiaggia di Ras al-Jinz per deporvi le uova. Insomma, in un periodo in cui viaggiare in sicurezza sta diventando sempre più difficile, l’Oman è una bella sorpresa, una meta da mettere in cima alla “wish list”.

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Iniziamo questo viaggio da Muscat, la capitale. Che è davvero sorprendente: non è una città vera e propria, ma un insieme di tanti paesini che si susseguono dall’aeroporto verso nord per circa 50 chilometri. Sono collegati da strade a 4, a volte anche a 6 corsie, perfettamente illuminate la notte. Se avete in mente Dubai o Abu Dhabi, scordatevele. Pure qui hanno costruito parecchio, ma senza tutti quei mostruosi grattacieli che caratterizzano i due emirati vicini. In Oman ci sono norme edilizie piuttosto rigorose e le fanno rispettare. Per esempio, ogni edificio deve avere qualche riferimento alla tradizione: una cupola, archi, stucchi bianchi o finestre arabescate. Il risultato è una città molto elegante, ordinata e pulitissima: gli omaniti sono letteralmente ossessionati dalla pulizia, al punto da spazzare le autostrade: ai bordi di quella che attraversa Muscat ho visto parecchie squadre di operai in tuta verde e gialla intenti a spazzar via anche l’ultima foglia. Pensate che se uno arriva dalla montagna o da un’escursione nel deserto, deve fermarsi in periferia a lavare l’auto. Ecco perché in giro ci sono tutti quei car wash!

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Grand Mosque, Muscat (@Oman Tourism)

È pulitissimo anche il suq di Mutrah, uno dei luoghi da visitare assolutamente. Come tutti i suq è un dedalo di stradine dove vendono un po’ di tutto. È bello perdercisi dentro, osservare la gente, fermarsi a trattare magari per acquistare un khanjar, il tradizionale pugnali ricurvo, o una busta di incenso di Salalah. Certo, vendono soprattutto paccottiglia proveniente dall’India o dalla Cina, e alla fine il rischio di ritrovarsi in valigia un terrificante cammello di peluche o una moschea di plastica che si illumina è alto. Ma pazienza, sono simpatici e sanno sorridere. E coi tempi che corrono non è poco.

Poi, dirigendosi verso l’interno, si va alla scoperta della regione di Al-Dakhiliyah. Le guide la definiscono “grandiosa e spettacolare”, e devo ammettere che sono gli aggettivi giusti. È una zona montuosa, che offre scorci da urlo. Qui c’è il Jebel Shams (“Montagna del Sole”, la vetta più alta dell’Oman: 3.075 metri). Al suo fianco c’è il Wadi Ghul, che la gente del posto chiama “Grand Canyon d’Arabia”: le sue pareti verticali vanno giù a strapiombo per oltre mille metri, e affacciarsi nella gola fa venire i brividi. Poi c’è il Jebel Akhdar (“Conca d’Oro dell’Oman”), che non è una vera e propria montagna, ma una vasta zona che comprende il Saiq Plateau (un altopiano a 2.000 metri sul livello del mare) e tutta una serie di wadi e terrazze, oltre a diversi villaggi molto caratteristici. La cittadina più interessante è Nizwa, l’antica capitale, caratterizzata da un massiccio forte seicentesco e da un bel suq.

Scendendo verso sud, superata Bidyyah, inizia il Wahiba Sands: la vegetazione sparisce progressivamente, fino a lasciar posto ad alte dune di sabbia. Non pensate a chissà che di avventuroso, hanno fatto arrivare fin qui persino l’energia elettrica e i bungalow dei vari desert camp sono più che confortevoli. Però la distesa di dune è davvero affascinante e appena cala la sera la stellata ti lascia a bocca aperta. E prima, verso l’ora del tramonto, una lunga camminata sulle dune in attesa che il sole vada a dormire ti regala un senso di libertà.

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Ovviamente si va a nanna presto, del resto uno mica viene qui per andare in discoteca. Un pasto sotto le stelle, una birra, qualche pagina di un buon libro, un’ultima occhiata a quel cielo che pare dipinto e poi via, sotto le coperte. Anche perché il mattino dopo ci si alza presto: volendo si può fare una passeggiata a dorso di cammello. Vero, tutto è stato pensato per allietare i turisti, ma mica fa schifo!

Se uno ha voglia di toccare con mano la vita vera, gli basta percorrere pochi chilometri e può entrare in contatto con i beduini che vivono da queste parti. Non se la passano per niente male, mediamente sono piuttosto ricchi: l’attività principale è allevare cammelli da corsa. Se uno pensa che i beduini vivono come si vede in certi film d’antan si sbaglia di grosso. Pure loro si stanno modernizzando: l’ultima generazione abita in belle case costruite ai margini delle dune. Soltanto qualche vecchio continua a vivere nelle tende, ma perlopiù le usano per accogliere le comitive di turisti e vendergli souvenir realizzati artigianalmente dalle donne beduine.

A proposito, è sorprendente scoprire quanto sono progredite e rispettate le donne beduine, che indossano i loro abiti dai colori sgargianti e nascondono il viso dietro maschere con visiera: armate di smartphone di ultimissima generazione, guidano i loro pick up con assoluta maestria. Quando c’è da soccorre un turista sprovveduto che è rimasto bloccato dalla sabbia, quasi sempre sono loro le prime ad arrivare.

Del resto questo discorso vale un po’ per tutte le donne omanite, che pur continuando a indossare la tradizionale abeyya (una lunga tunica nera di mussola leggera), non sono affatto sottomesse a padri e mariti come erroneamente si è portati a pensare: le studentesse universitarie sono più dei maschi, e molte donne ricoprono ruoli di prestigio in società pubbliche e private.

Questo risultato è stato raggiunto grazie alle sagge decisioni di Qabus Bin Said, il sultano che governa l’Oman dal 1970: allora era un paese medioevale e oscurantista, senza fogne né elettricità, con un solo ospedale, un paio di scuole e meno di 10 chilometri di strade asfaltate. Oggi ci sono scuole e ospedali ovunque, dodicimila chilometri di strade (e ci sono progetti per altre strade da fare nei prossimi anni) e i pali della luce elettrica arrivano anche nei villaggi più sperduti.

Altro argomento: l’acqua, che qui è più preziosa del petrolio: sapete quanto costa un litro di benzina? Circa 0,20 rial omani, che equivalgono a circa 40 centesimi di euro! Un giorno la guida mi dice: «Una volta si combattevano le guerre per l’acqua. Oggi si combattono per il petrolio. Ma in futuro si tornerà a uccidere per l’acqua». Infatti il sultano ha in cantiere un progetto futuristico: dotare tutto il Paese di desalinatori, in modo da non prosciugare i depositi d’acqua piovana e lasciarli in eredità alle generazioni future: potranno usarli alla bisogna quando ce ne sarà scarsità.

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Chi viene in Oman deve imparare il significato della parola “wadi”, che vuol dire “letto del fiume”. Normalmente sono secchi, salvo dopo piogge intense. Quando sono particolarmente violente, causano un bel po’ di disastri: distruggono l’asfalto, demoliscono ponti, fanno smottare le colline. Eppure quando piove la gente festeggia, lo considera un dono di dio. E senza far troppo le vittime, si rimboccano le maniche e come tante formichine operose (e danarose, grazie ai giacimenti di petrolio e di gas) riparano tutto in men che non si dica.

I wadi sono anche un’attrazione turistica. Due tra i più belli sono Wadi Tiwi e Wadi Shab. Sono caratterizzati da pozze d’acqua verde smeraldo e circondati da piantagioni rigogliose. Molti ci fanno il bagno, altri preferiscono lunghe passeggiate. Comunque non andarli a vedere è un vero peccato. Così come è un peccato che in Italia l’Oman sia ancora poco conosciuto.

Massimo Poggini è un giornalista musicale di lungo corso: nella seconda metà degli anni ’70 scriveva su Ciao 2001. Poi, dopo aver collaborato con diversi quotidiani e periodici, ha lavorato per 28 anni a Max, intervistando tutti i più importanti musicisti italiani e numerose star internazionali. Ha scritto i best seller Vasco Rossi, una vita spericolata e Liga. La biografia; oltre a I nostri anni senza fiato (biografia ufficiale dei Pooh), Questa sera rock’n’roll (con Maurizio Solieri), Notti piene di stelle (con Fausto Leali) e Testa di basso (con Saturnino) e "Lorenzo. Il cielo sopra gli stadi", "Massimo Riva vive!", scritto con Claudia Riva, "70 volte Vasco", scritto con Marco Pagliettini, e "Lucio Dalla. Immagini e racconti di una vita profonda come il mare".

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