San Diego: amore e critica degli anni ’80 con lo sguardo dei 2000

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Abbiamo spesso il piacere di parlare di musica nuova ma soprattutto di artisti nuovi che ci tengono a presentare i loro progetti. Questa è la volta di San Diego, ragazzo napoletano ma da tempo immemore romano d’adozione, che ci ha raccontato il suo nuovo album, Disco, già disponibile sulle piattaforme online e che sarà distribuito nella versione fisica il prossimo 24 novembre, occasione in cui San Diego lo presenterà al pubblico nel suo locale a Roma (Le Mura)  ed il 25 novembre a Milano (Ohibò).  Nove tracce che rimandano in modo forte alle atmosfere anni ’80, con l’utilizzo di synth e molto pop, ma il tutto guardato con gli occhi (e le orecchie) di oggi.

Abbiamo fatto 4 chiacchiere con lui ed ecco cosa ci ha raccontato.

A proposito di questo tuo primo album, cosa ti ha ispirato nella scrittura delle canzoni?

Avevo delle canzoni che avevo scritto quando ho iniziato a lavorare con la musica e volevamo trovare qualcosa che ci soddisfacesse. Inizialmente era partita con suoni sempre elettronici però mantenendo una linea elettronica-pop contemporanea guardando un po’ la scena internazionale, facendo dei suoni che riportavano più all’estero che non italiani. Però non ci convinceva più di tanto il risultato perché sembrava un ibrido. La canzone che abbiamo utilizzato come inizio per arrangiarla a un certo punto pensato di trasformarla in una cosa un po’ vaporwave, e con questa idea di fondo abbiamo provato a fare una base dal nulla, dance, un p0′ anni ’80, e poi l’abbiamo decostruita, rallentata e adattata alla forma canzone. Ed è nata Vueling, il primo pezzo che abbiamo prodotto. Dopodiché, da quel momento in poi io avevo altre canzoni che avevo scritto ma le messe da parte e ho scritto altre canzoni partendo da quest’idea di suono, da queste atmosfere che si erano venute a creare con questo pezzo, avendo già in mente altre cose da fare su questa linea d’onda. Ogni volta che scrivevo un pezzo andavo in studio e lo registravo, e via via è venuto tutto il disco. Ho iniziato a pubblicare su Youtube le canzoni e dopo un po’ è venuta l’esigenza di fare un disco perché all’inizio erano solo canzoni che volevo fare uscire. Dopo un paio di pezzi che ho pubblicato, mi hanno contatto i ragazzi di questa etichetta, la Stradischi, che era appena nata e da subito è arrivata la collaborazione. Sono 9 tracce, solo quelle che veramente che fossero più un concept, bello compatto.

Quindi possiamo parlare di concept album?c’è un filo rosso che lega tutte le canzoni?

Diciamo che non è un concept cercato appieno, nel senso che il concept generale dei pezzi è comunque un po’ una sorta di critica, o meglio da una parte ammirazione dall’altra critica di tutto quel mondo di plastica anni ’80 e ’90 riferito alla contemporaneità, e magari guardandolo con l’occhio sia critico che ammirato. Questi suoni mi piacciono molto ma li estremizzo anche quasi a prenderli in giro. Certe cose sono quasi sul limite dell’irriderli. In alcune parti, non so se hai notato, ci sono delle cose pure troppo di rimando a quella roba lì.

Infatti ti stavo proprio per chiedere il perché di questa scelta stilistica. Ma parlando di anni ’80, mettendo per un attimo da parte gli approcci totalmente diversi, trovo dei collegamenti (probabilmente te lo hanno già detto), con i Thegiornalisti.

Me l’hanno detto meno persone di quanto mi aspettassi. Dal momento in cui tu fai una cosa con questi suoni ovviamente poi si pensa a loro. I Thegiornalisti li conosco benissimo, pensa che vado a fare anche djset con il chitarrista, conosco bene il cantante e tutti quanti, sono tutti usciti da questa scena romana, sono venuti tantissime volte a suonare a Le Mura. Per loro diciamo è più un mezzo, per me più un’esigenza, come ti dicevo, stilistica e concettuale. Non c’è mai un disco per intero che mi possa piacere con queste sonorità, ma a me loro piacciono, mi piacciono quei suoni. Ma se ti devo dire “i dischi della vita” non ti dico cose che hanno quei suoni. Diciamo che mi sono basato parlando di contemporaneo, più su atmosfere più ariose. I Thegiornalisti invece sono tutto fuoricampo, hanno fatto questa cosa proprio anni ‘8o. Loro poi fanno un genere un po’ più pop, il mio + più leggermente legato alla dance, all’italo disco e queste cose qui. Quindi sempre quei periodi lì ma con un diverso approccio. A me loro piacciono molto ma non volevo fare una cosa simile a loro. Poi adesso è anche abbastanza sdoganata questa cosa dei suoni così, molta altra gente lo fa sia in italia che all’estero.

Infatti il parallelismo scatta per la similitudine come mondo di riferimento, e non per similitudine vera e propria come risultato finale. Mi incuriosisce che, proprio in questo periodo, ci siano così tanti rimandi a quel mondo.

Le mode sono abbastanza difficili da inquadrare e approfondire. Dare una spiegazione oggettiva alle mode è sempre complicato, diciamo che adesso c’è, in generale, nella musica, la possibilità di trovare qualcosa  di interessante che veniva atto in passato perché ormai si è fatto tutto, per quello che vedo io. Ormai si va molto di rimandi, di rimodernizzare. Credo che sia un “problema” che deriva dal vuoto che c’è nella musica e in tanti altri campi, si va a pescare nel vecchio per cercare di fare qualcosa di nuovo, paradossalmente.

Può darsi ci sia una mancanza di stimoli?

Più che altro, appunto, c’è mancanza di nuove cose che soddisfino a tal punto da puntarci. Talmente tanto è stato fatto nella musica che comunque ad un certo punto si va ripescare negli anni’80, ’90 o addirittura ’70. Un po’ come quando l’indie prima di questa ondata andava a suonare come suonavano i dischi anni ’70. Il rock è un p0′ nato su quella scia lì, penso agli Strokes, ad esempio, che facevano riferimento a un rock and roll più datato. Man mano si va a ripescare a quello che andava magari 20 anni prima, perché lo si trova più bello. Soprattutto in Italia si fa fatica a tirare fuori cosa nuove. Io personalmente in questo progetto qui cerco di fare qualcosa che comunque non sia un revival, ma cercare di fare qualcosa di nuovo. Che poi mi riesca o meno, questo non lo so, ma l’intento è quello. Volevo fosse un disco contemporaneo con riferimenti e suoni più di quel tipo.

Come sei arrivato alla decisione di fare musica, e non solo solo di promuoverla?

Io mi sono avvicinato alla musica alle medie. Ho iniziato a strimpellare un pochino e poco dopo già avevamo messo su un gruppo con gli amici di scuola. Ho sempre continuato a suonare e a fare cose che poi non ho mai fatto uscire, sono sempre rimaste nell’underground, cioè che proprio restavano nelle cantine e nelle sale prove. Poi questa cosa mi soddisfaceva più delle altre cose che avevo fatto in precedenza e quindi forse avevo trovato la maturità giusta. Qualsiasi cosa facessi prima non mi piaceva mai abbastanza da poterla proporre. Tutto è venuto da se, quando sei soddisfatto tu è più poi che la gente apprezzi.

Cos’è che solitamente ti ispira la scrittura di un pezzo?

Eh domanda difficile, perché io non ho mai una molla precisa. Solitamente ogni giorno mi vengono delle idee che io appunto sul telefono, o scrivo testi e melodie che mi vengono in mente in qualsiasi situazione. Pure se sono in mezzo alla gente, anche se sto in un momento delicato in cui non dovrei, devo assolutamente registrare perché rischio di perdermela per sempre quella cosa. A me davvero non interessa nulla di dove sto e cosa faccio, magari la gente mi prende anche per scemo. Ho una quantità infinita di file audio di cui tra l’altro molti non li riascolterò mai più ma è più una cosa psicologica. Penso che una melodia se è valida poi me la ricordo anche se non me la vado a risentire. Il grosso viene sempre da idee estemporanee, è tutto molto anche flusso di coscienza.

 

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