Legacy, dunque dove eravamo rimasti…

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Legacy

Incontro i Legacy (già Dire Straits Legends e Dire Straits Legacy) in un lussuoso negozio di arredamento nel centro di Milano. Loro attualmente sono in otto, ma all’intervista si presentano solamente in tre: il cantante romano Marco Caviglia (che ascolterà in silenzio la conversazione), il chitarrista Phil Palmer (uno per cui bisognerebbe abolire la parola “turnista” visto che la sua sei corde si è fusa egregiamente nei dischi di chiunque: date un’occhiata qua) e il tastierista Alan Clark, occhiali scuri, berrettino da baseball degli Atlanta Braves ben calcato in testa e un passato alla corte degli stessi, indimenticabili Dire Straits. Da qualche parte ci sta pure Trevor Horn, produttore di fama globale, anche lui da poco aggregatosi a questa sontuosa Treccani della musica spacciata per semplice gruppo rock.

L’occasione è presto detta: i Legacy, probabilmente sazi di suonare solo cover perfette e cristalline del gruppo multimilionario di Brothers in Arms e Makin’ Movies, hanno deciso di cimentarsi con canzoni proprie. Da lì ne è nato un bel disco, 3 Chord Trick, uscito da qualche giorno e di cui gli stessi Palmer e Clark ci hanno spiegato onori e oneri, non scordandosi mai di rimarcare la propria filosofia esistenziale. Che qui si potrebbe riassumere così: gli album si fanno suonando tutti assieme nello stesso studio e non spedendosi anonimamente i file-audio da un capo all’altro del mondo. Difficile dargli torto.

Possiamo inquadrare 3 Chord Trick come un seguito di… che cosa in particolare?
«(Phil Palmer) Io lo vedo come un seguito di niente. Al massimo prendilo come il primo passo di una nuova era per questa band che non sta mai ferma. Sai, prima ci chiamavano Dire Straits Legends solo che il nostro bassista di allora, John Illsley (uno dei fondatori dello storico gruppo britannico, ndr), non apprezzava granché quel termine. Così da Legends siamo diventati Dire Straits Legacy e ultimamente solo Legacy.»

Questo vuol dire che d’ora in poi rinnegherete le cover dei vostri artisti di riferimento?
«(Alan Clark) Assolutamente no. Il gruppo è nato tempo fa per riscoprire il piacere della musica dei Dire Straits e, a quel sound in particolare, resteremo sempre fedeli. Certo, nel frattempo ci sono stati dei graduali cambiamenti e abbiamo inciso questo disco d’inediti a cui teniamo molto; però, insomma, ci sono comunque le nostre radici di mezzo…»

Leggende decisamente no: che ne dite allora di super-gruppo?
«(Phil) Stai pur certo che ci piace! (sorride) Quel termine, a differenza di ‘Legends’, direi che si possa tranquillamente usare senza timore d’essere smentiti.»

Qual è il ruolo di Trevor Horn nella band?
«(Alan) Lui è il nostro bassista e ci accompagnerà dal vivo suonando uno strumento che ha sempre amato parecchio. Ok, tutti lo conoscono come produttore geniale, come l’uomo che ha rivoluzionato gli Yes e inventato i Frankie Goes To Hollywood, ma negli anni ’70 Trevor è partito come semplice bassista e i Legacy sono una sorta di chiusura del cerchio per lui.»

Mai avuto la tentazione di fargli produrre il disco?
«(Phil) No, mai. E poi Trevor non era minimamente interessato a quel ruolo. Ha ascoltato i rough mixes, ci ha suonato sopra le sue tracce di basso e poi siamo volati a Los Angeles dove il grande Pino Palladino ha completato il lavoro. Sull’album infatti suona lui e non mister Horn.»

Qualcuno ha già scritto che 3 Chord Trick sia un grande tributo al rock radiofonico degli anni ’80. Sei d’accordo?
«(Phil) In parte. In fondo la mia ‘eredità’ (legacy in inglese, ndr) comprende ben quarantacinque anni di carriera nel mondo della musica! (ride) Poi, oltre alla mia, vanno sommate anche le esperienze degli altri sette musicisti che gravitano in questa band. Insomma, di carne al fuoco ce n’è parecchia…»

Tu come descriveresti queste undici nuove canzoni?
«(Phil) Vuoi sapere la verità? Non si tratta soltanto di un omaggio agli anni ’80, ma di una netta presa di posizione legata al suonare tutti assieme nella stessa stanza. Come sonorità partiamo dal profondo dei Fifties e arriviamo fino al 2017 perché, in definitiva, questi siamo noi e solo noi. Un gruppo motivato che ha agito prima a Los Angeles (dove Steve Ferrone e Pino Palladino hanno creato la sezione ritmica) e infine a Roma, nei meravigliosi Forward Studios, dove il cuore di 3 Chord Trick è finalmente venuto alla luce.»

Legacy
Simone Sacco (di spalle) mentre intervista i Legacy. Foto di Laura Verdi

A mio avviso ne è uscito un album rilassato e al tempo stesso malinconico, dove le tracce d’atmosfera superano i numeri prettamente rock: che ne pensi?
«(Phil) Il tuo è un parere prezioso e ti ringraziamo di ciò visto che siamo stati troppo concentrati sul quadro complessivo di ‘3 Way Chord’ per averne un giudizio oggettivo. I pezzi rock ci sono, ma anche le orchestrazioni di Alan Clark non scherzano affatto.»

Il singolo Jesus Street ha un tiro che mi ha ricordato più John Mellencamp che i Dire Straits…
«(Alan) Hai ragione. Quel pezzo l’ho composto io e avevo in testa gli Eagles di ‘The Boys Of Summer’ quando è stato il momento di trovare l’ispirazione. Per fartela breve: musica da sentire in auto mentre guidi in vasti spazi. (in realtà ‘The Boys Of Summer’ fu scritta dal batterista della band, Don Henley, per un suo disco solista uscito nel 1984. Gli Eagles l’hanno comunque eseguita più volte dal vivo, ndr)»

Parliamo del tour mondiale: stavolta riuscirete ad organizzarne uno vero e proprio?
«(Phil) Sì visto che i Legacy saranno l’impegno principale del nostro 2018. Saremo in tournée dal mese di ottobre e contiamo di girare a lungo sia in Europa che in Sud America. Tutto il resto è ovviamente ancora da programmare.»

La scaletta sarà più sbilanciata verso i brani di 3 Chord Trick o verso i classici dei Dire Straits?
«(Alan) Io la vedo così: partiremo con un po’ di canzoni originali e parecchie altre dei Dire Straits. Poi man mano che il pubblico si sarà abituato a questi nuovi brani, potremo gradualmente aggiungere altri pezzi dei Legacy e levare alcune cover. Vedremo.»

Dall’entusiasmo con cui mi parli deduco che ti piaccia non poco questa tua “seconda vita” in Italia…
«(Alan) E come potrebbe non essere così? Assieme ai Legacy – in particolar modo Phil e Marco – mi sento come quel piatto buonissimo che fate qua in Italia. Com’è che si chiama? Ah sì, pasta cacio e pepe. Ecco, io sono il cacio e loro il pepe! (ride)»

Ultima domanda: a questo punto gli unici due Dire Straits che non hanno mai suonato con voi restano David Knopfler e…
«(Phil) E suo fratello Mark! Ok, passi per Mark che ha la sua carriera, ma ci sarebbe piaciuto coinvolgere David nelle session dell’album.»
«(Alan) Ci abbiamo provato, ma non è stato possibile per tutta una serie di impegni suoi e nostri. Chissà, magari la prossima volta…»
LegacyLa formazione attuale dei Legacy:
Marco Caviglia – voce, chitarra
Phil Palmer – chitarra, voce
Alan Clark – piano, tastiere e voce
Trevor Horn – basso
Steve Ferrone – batteria
Danny Cummings – percussioni
Mel Collins – sax
Primiano Di Biase – fisarmonica e tastiere addizionali

3 Chord Trick, il primo album dei Legacy, è disponibile qui sia in formato fisico che MP3.
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Simone Sacco nasce nel 1975, l'anno in cui i Cincinnati Reds (la temibile 'Big Red Machine', la più grande squadra di baseball di tutti i tempi) vinsero le World Series. Nella vita scrive abitualmente di musica, tattoo art, calcio, sport, letteratura ecc. Deve tutto, nel bene o nel male, al 1991 e ai dischi (tra cui 'Nevermind' dei Nirvana) che uscirono proprio in quell'indimenticabile stagione.

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