Maria Lapi, affreschi personali che conducono al mare

L’artista milanese, ma sarda d’adozione, prosegue la sua avventura caratterizzata da un cantautorato garbato e poetico. ‘Tra me e il mare’ è un lavoro originale e coraggioso, ma anche fruibile e accompagnato da un sobrio quanto curato sottofondo sonoro. Otto brani autografi con tanto di omaggio finale a Mina

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Maria Lapi (foto di Ila Scattina)

Non sarà (e, fortunatamente, non lo è di certo…) l’unica. Tuttavia, fa piacere vedere ‘alzare sempre più il tiro’ da parte di una ‘fonte’ sinceramente dedita a supportare piccole realtà discografiche più che mai decise, a loro volta, a regalare spazio e voce ad artisti che, finalmente, hanno ‘qualcosa da dire’. E non, come troppo spesso accade, a colleghi che, invece, vogliono soltanto urlacchiare qualcosa (ma proprio una cosa qualsiasi…) a ogni costo.

Progetti curati e sinceri, non la spasmodica ricerca di gloria e visibilità effimere. Creatività e non copia-incollismo da reality. Gavetta fatta di cantine e garage (e anche di solitudine), non corsie di sorpasso fatte di lacca, sartorie, selfie e facili proclami a voce alta.

Ebbene, queste segnalazioni da parte di Macramè – Trame comunicative arrivano dunque gradite, gradevoli e opportune attraverso un ufficio stampa atipico che si definisce “artigianale”, per il semplice motivo che prova “a fare le cose per bene”, selezionando con estrema attenzione e severa indulgenza gli album da sostenere. E che crede fortemente “nella musica urgente e di sostanza”. Attivo dal 2013 e forte di oltre novanta dischi già promossi, soprattutto nelle aree del cantautorato e del rock d’autore, nel 2017 Macramè ha anche organizzato un tributo a Claudio Rocchi (Tutto quello che ho da dire), trasformato in progetto digitale nell’ambito del quale ben diciannove artisti nostrani hanno omaggiato il musicista milanese rileggendo un suo brano, ognuno con il suo stile e le sue peculiarità.

Questa volta, dunque, ci soffermiamo su tre nomi (e relativi cognomi…). A Maria Lapi seguiranno presto, infatti, anche l’esperto e sanguigno Tiziano Mazzoni, nonché il poetico e riflessivo Davide Viviani che, a loro volta, meritano singole attenzioni e citazioni, anche in quanto a diversità stilistica e originalità creativa.

Massimo comune denominatore, in ogni caso, è rappresentato dalla genuinità e dall’onestà intellettuale dei nomi che seguiranno. Nessuno dei quali, credo, si aspetti di entrare in qualche classifica nazionale (né, del resto, ha scelto forme espressive così semplicistiche ed edulcorate in grado di fare breccia tra il potenziale pubblico degli homo sentiens, rivolgendosi piuttosto all’homo auscultantes…), ma solo nelle orecchie e nelle anime di chi ha tempo e voglia di soffermarsi sulle piccole/grandi opportunità che il panorama della musica italiana genuinamente ‘periferica’ riesce spesso a regalare.

 

Maria LapiTra me e il mare

Iniziamo dunque, anche per un non richiesto ma sempre doveroso dovere di galanteria, dalla coraggiosa e originale cantante milanese di nascita, ma ormai sarda di adozione. Graziosissima (lo dicono le sobrie e mai aggressive foto del booklet inserito nel digipack dalle tinte morbide con un bozzetto essenziale di Francesco Campanoni che immortala una barchetta di carta placidamente adagiata sulla superficie dell’acqua di una vaschetta), la padrona di casa compare con discrezione solo all’interno del booklet, nascosta dietro gli otto brani autografi e una riuscita cover della quale si parlerà in seguito. Un lavoro autoprodotto e registrato al San Pedro Studio di Milano sotto l’egida di Antonio ‘Cooper’ Cupertino e forte dei sobri arrangiamenti di Samuele Rampani. Cantautorato pop, annuncia la cartella stampa. Personalmente, tuttavia, andrei un po’ oltre trovando il termine riduttivo e persino fuorviante per una Maria Lapi che, a parte qualche testo eccessivamente legato a forme ‘avverbiali’ forzatamente ridondanti alla Carmen Consoli (proprio l’esordio, affidato a Tra le parole), rivela invece una sensibilità e un’espressività complete e degne di nota. A sette anni dall’esordio con Ignote melodie, torna dunque con la sua voce ricca di personalità alla quale non sono estranei alcuni toni alla Natalie Merchant più contenuta e a una Maria McKee più riflessiva. E ciò proprio nel primo brano, quello che più risente della ‘consolite’ ma che subito evolve, grazie anche al violoncello di Mattia Boschi e a un ritmo progressivo quasi da bossanova con la chitarra di Rampani sempre in luce, in qualcosa di più elaborato e imprevedibile.

La copertina dell’album

Alla fine, lo dicono anche le foto interne, tutto riporta al mare. “Il mare c’è sempre, in ogni mio giorno. Nella quotidianità più intensa di Nuoro, dove vivo ora – spiega Maria Lapi – ma anche nella Milano più indaffarata dove torno spesso, nei passi più svelti e nervosi. Mi basta fermarmi un istante, imbracciare una chitarra, lasciar volare le note: eccolo, il mio mare, il mio altrove più bello”. L’incanto di un incontro deve qualcosa alla Ricky Lee Jones meno ruvida dei ‘Tropicana days’ al fianco di Tom Waits e Chuck E. Weiss, forse anche per l’uso tipico del contrabbasso di Ivo Barbieri. Qui, l’artista si libera finalmente dei fardelli legati alle passioni personali e svicola verso figure meno mainstream come Cristina Donà o Laura Fedele. Ne guadagna la scorrevolezza dei pezzi e l’incisività dei versi come nel caso di Madreamante, mentre la successiva Bucce di limone ci regala arguzie, metafore e persino toni sbarazzini con musicisti che la assecondano con sobrietà e fiducia. Il giro di boa arriva con C’era da fare e il ritmo allunga il passo, trotterellando ma senza mai correre troppo. Un lavoro cantautorale in rosa, detto in termini di genere e non faziosi, che si pone altresì “lontano dalle malinconie autunnali. Mediterraneo”, viene suggerito.

Maria Lapi (foto di Ila Scattina)

Un progetto che anche dalla tromba di Raffaele Kohler in Stregata dalla luna unisce “la semplicità di un songwriting leggero, pensoso e incantato lungo melodie increspate e cangianti come le onde di un bacino un poco mosso” con quelle atmosfere alla Nini Rosso che aggiungono un pizzico di vintage che si conferma anche nei confortevoli passaggi di Piccolo principe, brano più lungo dell’intero lavoro che tuttavia non annoia mai. Alla title track il compito di virare verso i saluti nella maniera più arrangiata e forse ‘classica’ in assoluto, fruibile e transgenerazionale con la sezione ritmica (Fabrizio Fognagnolo e Stefano Tedesco) a controllarsi sempre con abile misura e oculata incisività. Fino a quei quattro versi che meritano ampio risalto: “Danzo nella voglia di cullarmi, nel lento incedere del mare. È un incontro nelle infine trame, di un sogno di luce e di colore”. Sembra davvero uscito dalla stessa scuola di parolieri e compositori (Antonio Amurri e Bruno Canfora) ai quali si deve la conclusiva e ben rivista Conversazione, evidente omaggio a Mina Mazzini da Busto Arsizio.

Vogliate gradire!

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